Esser tali dovean quelli, che vieta
Che sian ne la Repubblica Platone,
Da lui con sì santi ordini discreta.
Ma non fu tal già Febo, nè Anfione;
Nè gli altri che trovaro i primi versi;
Che col bel stile, e più con l’opre buone
Persuasero agli uomini a doversi
Ridurre insieme, e abbandonar le ghiande,
Che per le selve li traean dispersi.
È ver che i più robusti, la cui grande
Forza era usata a gli minori torre
Or moglie, or gregge, or le miglior vivande,
Si lasciaro a le leggi sottoporre,
E cominciàr, versando aratri e glebe,
Del sudor lor più giusti frutti a corre.
I scrittor fero indi a l’indotta plebe
Creder che al suon de le soavi cetre
L’un Troja, e l’altro edificasse Tebe;
E ch’avean fatto scendere le pietre
Da gli alti monti, ed Orfeo tratto al canto
Tigri e leon da le spelonche tetre.
Non è, s’io mi corruccio, e grido alquanto
Più con la nostra, che con l’altre scole,
Ch’io non vegga ne l’altre anche altrettanto.
D’altra correzion, che di parole
Degno, nè del fallir de’ suoi scolari,
Non pur Quintiliano è che si duole,