Ma gli par che, non dando il suo consenso
A quel che approvan gli altri, mostri ingegno
Da penetrar più su che ’l cielo immenso.
Se Niccoletto, o fra Martin fan segno
D’infedele o d’eretico, n’accuso
Il sottil studio, e men con lor mi sdegno:
Perchè salendo l’intelletto in suso
Per veder Dio, non de’ parerci strano,
Se talor cade giù cieco e confuso.
Ma tu, del qual lo studio è tutto umano,
E son li tuoi soggetti i boschi, i colli,
Il mormorar d’un rio che righi il piano;
Cantare antichi gesti, e render molli
Con prieghi animi duri, e far sovente
Di false lodi i Principi satolli;
Dimmi, che trovi tu, che sì la mente
Ti debba avviluppar, sì torre il senno,
Che tu non creda come l’altra gente?
Il nome, che d’Apostolo ti denno,
O d’alcun minor Santo i padri, quando
Cristiano d’acqua e non d’altro ti fenno,
In Cosmico, in Pomponio vai mutando;
Altri Pietro in Pierio; altri Giovanni
In Jano, e in Jovian va racconciando;
Quasi che ’l nome i buon giudici inganni;
E che quel meglio t’abbia a far poeta,
Che non farà lo studio di molt’anni.