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QUARTA 47

Or se di me a quest’uomini dimande;
     Potrian dir, che bisogno era di asprezza,
     Non di clemenza a l’opre lor nefande.
Come nè in me, così nè contentezza
     È forse in lor; io per me son quel Gallo,
     Che la gemma ha trovato, e non l’apprezza.
Son come il Veneziano, a cui il cavallo
     Di Mauritania in eccellenza buono
     Donato fu dal Re di Portogallo;
Il qual, per aggradire il real dono,
     Non discernendo, che mestier diversi
     Volger timoni, e regger briglie sono;
Sopra vi salse, e cominciò a tenersi
     Con mani al legno, e co’ sproni a la pancia:
     Non vo’ (seco dicea) che tu mi versi.
Sente il cavallo pungersi, e si lancia;
     E ’l buon nocchier più allora preme, e stringe
     Lo sprone al fianco, aguzzo più che lancia,
E di sangue la bocca, e ’l fren li tinge:
     Non sa il cavallo a chi ubbidire, o a questo
     Che ’l torna indietro, o a quel che l’urta e spinge.
Pur se ne sbriga in pochi salti presto:
     Rimane in terra il Cavalier col fianco,
     Con la spalla, e col capo rotto e pesto.
Tutto di polve, e di paura bianco
     Si levò al fin, del Re mal satisfatto,
     E lungamente poi se ne dolse anco.