Or se di me a quest’uomini dimande;
Potrian dir, che bisogno era di asprezza,
Non di clemenza a l’opre lor nefande.
Come nè in me, così nè contentezza
È forse in lor; io per me son quel Gallo,
Che la gemma ha trovato, e non l’apprezza.
Son come il Veneziano, a cui il cavallo
Di Mauritania in eccellenza buono
Donato fu dal Re di Portogallo;
Il qual, per aggradire il real dono,
Non discernendo, che mestier diversi
Volger timoni, e regger briglie sono;
Sopra vi salse, e cominciò a tenersi
Con mani al legno, e co’ sproni a la pancia:
Non vo’ (seco dicea) che tu mi versi.
Sente il cavallo pungersi, e si lancia;
E ’l buon nocchier più allora preme, e stringe
Lo sprone al fianco, aguzzo più che lancia,
E di sangue la bocca, e ’l fren li tinge:
Non sa il cavallo a chi ubbidire, o a questo
Che ’l torna indietro, o a quel che l’urta e spinge.
Pur se ne sbriga in pochi salti presto:
Rimane in terra il Cavalier col fianco,
Con la spalla, e col capo rotto e pesto.
Tutto di polve, e di paura bianco
Si levò al fin, del Re mal satisfatto,
E lungamente poi se ne dolse anco.