Il lucido vivaio, onde il giardino
Si cinge intorno, ’l fresco rio che corre,
Rigando l’erbe, ove poi fa il molino.
Non mi si pon de la memoria torre
Le vigne, e i solchi del fecondo Iaco,
Le valle, e ’l colle, e la ben posta torre.
Cercando or questo, ed or quel loco opaco,
Quivi in più d’una lingua, e in più d’un stile,
Rivi traea fin dal Gorgoneo laco.
Erano allora gli anni miei fra Aprile
E Maggio belli, ch’or l’Ottobre dietro
Si lasciano, e non pur Luglio, e Sestile.
Ma nè d’Ascra potrian, nè di Libetro
Le amene valli, senza il cor sereno,
Far da me uscir gioconda rima, o metro.
Dove altro albergo era di questo meno
Conveniente a i sacri studj, voto
D’ogni giocondità, d’ogni orror pieno?
La nuda Pania tra l’Aurora e ’l Noto,
De l’altre parti il giogo mi circonda,
Che fa d’un Pellegrin la gloria noto.
Questo è una falda, ove abito, profonda,
D’onde non muovo piè senza salire
Del selvoso Appennin la fiera sponda.
O starmi in rocca, o voglia a l’aria uscire,
Accuse, e liti sempre, e gridi ascolto,
Furti, omicidj, odj, vendette, ed ire.