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44 SATIRA

Il lucido vivaio, onde il giardino
     Si cinge intorno, ’l fresco rio che corre,
     Rigando l’erbe, ove poi fa il molino.
Non mi si pon de la memoria torre
     Le vigne, e i solchi del fecondo Iaco,
     Le valle, e ’l colle, e la ben posta torre.
Cercando or questo, ed or quel loco opaco,
     Quivi in più d’una lingua, e in più d’un stile,
     Rivi traea fin dal Gorgoneo laco.
Erano allora gli anni miei fra Aprile
     E Maggio belli, ch’or l’Ottobre dietro
     Si lasciano, e non pur Luglio, e Sestile.
Ma nè d’Ascra potrian, nè di Libetro
     Le amene valli, senza il cor sereno,
     Far da me uscir gioconda rima, o metro.
Dove altro albergo era di questo meno
     Conveniente a i sacri studj, voto
     D’ogni giocondità, d’ogni orror pieno?
La nuda Pania tra l’Aurora e ’l Noto,
     De l’altre parti il giogo mi circonda,
     Che fa d’un Pellegrin la gloria noto.
Questo è una falda, ove abito, profonda,
     D’onde non muovo piè senza salire
     Del selvoso Appennin la fiera sponda.
O starmi in rocca, o voglia a l’aria uscire,
     Accuse, e liti sempre, e gridi ascolto,
     Furti, omicidj, odj, vendette, ed ire.