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QUARTA 41

Tu forte, e saggio, che a tua posta muovi
     Questi affetti da te, che in uom nascscendo,
     Natura affigge con sì saldi chiovi!
Fisse in me questo, e forse non sì orrendo,
     Come in alcun, c’ha di me tanta cura,
     Che non può tollerar, ch’io non mi emendo;
E fa, come io so alcun, che dice e giura,
     Che quello e questo è becco, e quanto lungo
     Sia il cimier del suo capo non misura.
Io non uccido, io non percuoto, o pungo,
     Io non do noia altrui; se ben mi dolgo,
     Che da chi meco è sempre, io mi dilungo:
Per ciò non dico, nè a difender tolgo,
     Che non sia fallo il mio; ma non sì grave,
     Che di via più non ne perdoni il volgo.
Con minor acqua il volgo, non che lave
     Maggior macchia di questa, ma sovente
     Al vizio titol di virtù dato have.
Ermilian sì del denaio ardente,
     Come d’Alessi il Gianfa, e che lo brama
     Ogn’ora in ogni loco, da ogni gente:
Nè amico, nè fratel, nè se stesso ama;
     Uomo d’industria, uomo di grande ingegno,
     Di gran saper, di gran valor si chiama.
Gonfia Rinieri, ed ha il suo grado a sdegno;
     Esser gli par quel, che non è; più innanzi
     (Che in tre salti ir non può ) si mette il segno.