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SECONDA 19

Ma chi mai fu sì saggio, o mai sì santo,
     Che di esser senza macchia di pazzía,
     O poca, o molta, dar si possa vanto?
Ognun tenga la sua; quest’è la mia,
     Se a perder s’ha la libertà, non stimo
     Il più ricco cappel, che in Roma sia.
Che giova a me sedere a mensa il primo,
     Se per questo più sazio non mi levo
     Di quel che è stato assiso a mezzo, o ad imo?
Come nè cibo, così non ricevo
     Più quíete, più pace, o più contento;
     Se ben di cinque mitre il capo aggrevo.
Felicitade istima alcun, che cento
     Persone t’accompagnino a palazzo,
     E che stia il volgo a riguardarti intento;
Io lo stimo miseria, e son sì pazzo,
     Ch’io penso, e dico, che in Roma fumosa
     Il Signore è più servo, che ’l ragazzo.
Non ha da servir questi in maggior cosa,
     Che d’esser col signor quando cavalchi;
     L’altro tempo a suo senno va, o si posa.
La maggior cura, che sul cor gli calchi,
     È, che Fiammetta stia lontana, e spesso
     Causi che l’ora del tinel gli valchi.
A questo, ove gli piace, è andar concesso
     Accompagnato, e solo; a piè, a cavallo,
     Fermarsi in ponte, in banchi, e in chiasso appresso.