Ed egli a casa avea tornato i buoi;
Ch’or vuol fagiani, or tortorelle, or starne,
Che sempre un cibo usar, par che l’annoi.
Or sa, che differenza è da la carne
Di capro e di cinghial, che pasca al monte,
Da quel che l’Elisea soglia mandarne,
Fa ch’io trovi dell’acqua non di fonte,
Di fiume sì, che già sei dì veduto
Non abbia Sisto, nè alcun altro ponte.
Non curo sì del vin, non già il rifiuto;
Ma a temprar l’acqua me ne basta poco,
Che la taverna mi darà a minuto.
Senza molt’acqua i nostri, nati in loco
Palustre, non assaggio, perchè puri
Dal capo tranno in giù che mi fa roco.
Cotesti, che farian? che son nei duri
Scogli de’ Corsi ladri, o d’infedeli
Greci, o d’instabil Liguri maturi?
Chiuso nel studio frate Ciurla, se li
Bea, mentre fuor il popolo digiuno
Lo aspetta, che gli sponga gli Evangeli:
E poi monti sul pergamo più d’uno
Gambaro cotto, rosso, e romor faccia,
E un minacciar, che ne spaventi ogn’uno,
Ed a messer Moschin pur dia la caccia,
A fra Gualengo, ed a’ compagni loro,
Che metton carestía ne la vernaccia.