Stanza per quattro bestie mi apparecchia,
Contando me per due, con Gianni mio,
Poi metti un mulo, e un’altra rozza vecchia.
Camera, o buca, ove a stanzare abbia io,
Che luminosa sia, che poco saglia,
E da far foco comoda, desío.
Nè de’ cavalli ancor meno ti caglia,
Che poco giovería, ch’avesse poste,
Dovendo lor mancar poi fieno, o paglia.
Sia prima un materasso, che a le coste
Faccia vezzi, di lana, o di cotone
Sì, che la notte io non abbia ire a l’oste.
Provvedimi di legna secche e buone,
Di chi cucini pur così a la grossa
Un poco di vaccina, o di montone.
Non curo d’un, che con sapori possa
Di varj cibi suscitar la fame,
Se fosse morta, e chiusa ne la fossa.
Unga il suo schidon pure, o il suo tegame,
Sin a l’orecchio a ser Vorano il muso
Venuto al mondo sol per far letame:
Che più cerca la fame, perchè giuso
Mandi i cibi nel ventre, che per trarre
La fame, cerchi aver de’ cibi l’uso.
Il nuovo camerier tal cuoco inarre
Di fave, e d’aglio uso a sfamarsi, poi
Che riposte i fratelli avean le marre,