E se ’l Signor m’ha dato, onde far nuovo
Ogn’anno mi potrei più d’un mantello;
Che m’abbia per voi dato, non approvo.
Egli l’ha detto; io dirlo a questo, a quello
Voglio, ed i versi miei posso a mia posta
Mandare al Culiseo per lo suggello.
Opra, ch’in esaltarlo abbia composta,
Non vuol, ch’ad acquistar mercè sia buona:
Di mercè degno è l’ir correndo in posta.
A chi nel Barco, e in villa il segue, dona,
A chi lo veste, e spoglia, o pone i fiaschi
Nel pozzo per la sera in fresco a nona.
Vegghi la notte in fin, che i Bergamaschi
Si levino a far chiodi, sì che spesso
Col torchio in mano addormentato caschi.
S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo,
Dice, ch’io l’ho fatto a piacere, e in ozio;
Più grato fora essergli stato appresso.
E se in cancellerìa m’ha fatto sozio
A Melan del Costabil, sì c’ho il terzo
Di quel, ch’al notajo vien d’ogni negozio;
Gliè, perchè alcuna volta io sprono, e sferzo
Mutando bestie, e guide, e corro in fretta
Per monti, e balze, e con la morte scherzo.
Fa a mio senno, Maron, tuoi versi getta
Con la lira in un cesso, e un’arte impara,
Se beneficio vuoi, che sia più accetta.