Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/635


 [4]
Veggo vn’ altra Geneura pur’vſcita
     Del medeſimo ſangue, e Iulia ſeco,
     Veggo Hippolyta Sforza, e la notrita
     Damigella Triuultia al ſacro ſpeco,
     Veggo te Emilia Pia: te Margherita
     Ch’ Angela Borgia e Gratioſa hai teco,
     Co Ricciarda da Eſte ecco le belle
     Biaca, e Diana, e l’altre lor ſorelle.

 [5]
Ecco la bella, ma piú ſaggia e honeſta
     Barbara Turca, e la cOpagna e Laura
     Non vede il Sol di piú bontá di queſta
     Coppia: da l’Indo all’eſtréa onda Maura
     Ecco Geneura che la Malateſta
     Caſa: col ſuo valor ſi ingema e inaura
     Che mai palagi Imperiali o Regi
     Non hebbon piú honorati e degni fregi.

 [6]
S’ a qlla etade ella in Arimino era
     Quado ſuperbo de la Gallia doma
     Ceſar ſu in dubbio s’ oltre alla riuiera
     Douea paſſando inimicarti Roma:
     Crederò che Piegata ogni bandiera
     E ſcarca di Trophei la ricca ſoma
     Tolto hauria leggi e patti avoglia d’effa
     Ne ſorſè mai la libertade oppreſſa.

 [7]
Del mio Signor di Bozolo la moglie
     La madre, le Sirocchie, e le Cugine,
     E le Torcile, con le Bentiuoglie:
     E le Viſconte, e le Palauigine,
     Ecco chi a quate hoggi ne ſono toglie,
     E a quate o Greche, o Barbere, o Latine
     Ne ſuron mai, di quai la fama s’oda:
     Di gratia e di beltá la prima loda.

 [8]
Iulia Gonzagha che douunqj il piede
     Volge, e douuncs i ſereni occhi gira,
     Non pur’ ognaltra di beltá le cede
     Ma come ſcefa dal ciel Dea: l’ammira,
     La cognata e co lei che di ſua fede
     Non moſſe mai pche l’haueſſe in ira
     Fortuna, che le ſé lungo contraſto,
     Ecco Anna d’Aragon Luce del Vaſto.

 [9]
Anna bella gentil corteſe e ſaggia
     Di Caſtita di Fede, e d’Amor tempio:
     La Sorella e co lei, ch’oue ne irraggia
     L’alta beltá: ne paté ogn’ altra ſcempio,
     Ecco chi tolto ha da la ſcura ſpiaggia
     Di ſtyge, e fa con non piú viſto eſempio
     Mal grado de le Parche e de la Morte
     Splender nel ciel l’inuito ſuo Conforte.

 [10]
Le Ferrareſe mie qui ſono, e quelle
     De la corte d’Vrbino: e riconoſco
     Quelle di Matua, e quate donne belle
     Ha Lobardia, quante il paeſe Toſco:
     Il cauallier che tra loro viene, e ch’elle
     Honoran ſi, s’io nò ho l’occhio loſco
     Da la luce offuſcato de bei volti,
     E’l gran lume Aretin l’Vnico Accolti.

 [11]
Benedetto il nipote ecco la veggio:
     dia purpureo il capei, purpureo il mato
     Col Cardinal di Matua, e col Capeggio,
     Gloria e ſplendor del confiſtorio ſanto,
     E ciaſcun d’effi noto (o ch’io vaneggio)
     Al viſo, e a i geſti, rallegrarſi tanto
     Del mio ritorno, che non facil parmi
     Ch’ io poſſa mai di tanto obligo trarmi.