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canto secondo 25


[76]
Non come volſe Pinabello auenne
     De l’Innocente giouane la ſorte,
     Perche giū diroccando a ferir venne
     Prima nel fondo il ramo ſaldo e ſorte,
     Ben ſi ſpezzo: ma tanto la ſoſtenne
     Che ’l ſuo fauor la libero da morte,
     Giacque ſtordita la Dózella alquanto,
     Come io vi ſeguiro ne l’altro canto.



CANTO TERZO



[1]

C
hi mi darā la voce e le parole

     Conuenienti a ſi nobil ſuggetto?
     Chi l’ale al verſo pſtera che vole
     Tanto ch’arriui all’alto mio concetto?
     Molto maggior di quel furor che ſuole
     I5en hor couien che mi riſcaldi il petto,
     Ch queſta parte al mio Signor ſi debbe
     Che canta gli aui onde l’origine hebbe.

[2]
Dí cui ſra tutti li Signori illuſtri,
     Dal ciel ſortiti a gouernar la terra:
     No vedi o Phebo che ’l gra modo luſtri
     Piū glorioſa ſtirpe o i pace o in guerra,
     Ne che ſua nobiltade habbia piū luſtri
     Seruata, e ſeruara s’in me non erra
     Quel prophetico lume che m’inſpiri:
     Fin ch d’intorno al polo il ciel s’aggiri.

[3]
E volendone a pien dicer gli honori:
     Biſogna non la mia ma quella cetra:
     Con che tu dopo i Gigatei furori
     Renderti gratia al regnator de l’Etra
     S’inſtrumenti hauro mai da te migliori
     Atti a ſculpire in coſi degna pietra
     In queſte belle imagini diſegno
     Porre ogni mia fatica ogni mio igegno.

[4]
I.euando in tanto queſte prime rudi
     Scaglie n’andrò co lo ſcarpello inetto,
     Forſè ch’anchor con piū ſolerti ſtudi
     Poi ridurrò queſto lauor perfetto,
     Ma ritorniamo a quello a cui ne feudi
     Potran’ne vlberghi aſiicurare il petto
     Parlo di Pinabello di Maganza
     Che d’uccider la donna hebbe ſperaza.

[5]
Il traditor penſo che la donzella
     Foſſe ne l’alto precipitio morta
     E can pallida faccia laſcio quella
     Triſta: e per lui contaminata porta,
     E torno preſto a rimontare in fella,
     E come quel e’ hauea l’anima torta
     Per giuger colpa a colpa, e fallo a fallo
     Di Bradamante ne meno il cauallo

[6]
Laſcian coſtui che mentre all’altrui vita
     Ordiſce inganno, il ſuo morir procura,
     E torniamo alla Donna: che tradita
     Quaſi hebbe a vn tépo e morte e ſepoltura
     Poi che’lla ſi leuo tutta ſtordita:
     C hauea percoſſo in ſu la pietra dura,
     Dentro la porta andò, ch’adito daua
     Ne la feconda assai piū larga caua.