[4]
Tu te ne menti che ladrone io ſia,
(Riſpoſe il Saracin nō meno altiero):
Chi diceſſe a te ladro, lo diria
(Quāto io n’odo per fama) più cō vero,
La pruoua hor ſi vedra chi di noi ſia
Più degno de la donna, e del deſtriero:
Benche, quāto a lei, teco io mi cōuegna
Che non e coſa al mondo altra ſi degna.
[5]
Come ſoglion talhor duo can mordenti
O per inuidia o per altro odio moſſi
Auicinarſi: digrignando i denti
Con occhi bieci e più che bracia roſſi:
Indi a morſi venir di rabbia ardenti
Con aſpri ringhi e ribuffati doſſi,
Coſi alle ſpade e dai gridi e da l’onte,
Venne il Circaſſo e quel di Chiaramōte.
[6]
A piedi e l’ū, l’altro a cauallo, hor quale
Credete ch’abbia il Saracin vantaggio?
Ne ve n’ha perho alcun, che coſi vale
Forſe āchor men ch’uno ineſperto paggio
Che ’l deſtrier per iſtinto naturale
Non volea fare al ſuo Signor̃ oltraggio,
Ne cō man ne cō ſpron potea il Circaſſo
Farlo a volunta ſua muouer mai paſſo.
[7]
Quando crede cacciarlo egli ſ’arreſta:
E ſe tener lo vuole o corre o trotta:
Poi ſotto il petto ſi caccia la teſta:
Giuoca di ſchiene, & mena calci in frotta
Vedendo il Saracin, ch’a domar queſta
Beſtia ſuperba era mal tempo allhotta
Ferma le mā ſul primo arcione, e s’alza
E dal ſiniſtro fianco in piede ſbalza.
[8]
Sciolto che fu il Pagan cō leggier ſalto
Da l’oſtinata furia di Baiardo
Si vide cominciar ben degno aſſalto
D’un par di cauallier tanto gagliardo:
Suona l’un brādo e l’altro, hor baſſo, hor alto
Il martel di Vulcano era più tardo
Ne la ſpelunca affumicata: doue
Battea all’incude i folgori di Gioue.
[9]
Fanno hor cō lunghi, hora cō finti e ſcarſi
Colpi veder, che maſtri ſon del giuoco:
Or li vedi ire altieri, hor rannicchiarſi
Hora coprirſi, hora moſtrarſi vn poco:
Hora creſcer inanzi, hora ritrarſi:
Ribatter colpi, e ſpeſſo lor dar loco
Girarſi intorno, e donde l’uno cede
L’altro hauer poſto immātinente il piede.
[10]
Ecco Rinaldo con la ſpada adoſſo
A Sacripante tutto ſ’abbandona:
E quel porge lo ſcudo ch’era d’oſſo
Con la piaſtra d’acciar temprata e buona:
Taglial Fuſberta āchor che molto groſſo
Ne geme la foreſta e ne riſuona:
L’oſſo e l’acciar ne va cħ par di ghiaccio
E laſcia al Saracin ſtordito il braccio.
[11]
Quando vide la timida donzella
Dal fiero colpo vſcir tanta ruina
Per gran timor cangio la faccia bella
Qual il reo ch’al ſupplicio ſ’auuicina,
Ne le par che vi ſia da tardar, ſ’ella
Non vuol di quel Rinaldo eſſer rapina
Di quel Rinaldo ch’ella tanto odiaua
Quanto eſſo lei miſeramente amaua.