Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/242


 [20]
Quindici o venti ne taglio a trauerſo,
     Altri tanti laſcio del capo tronchi,
     Ciaſcun d’un colpo ſol dritto o riuerſo,
     Che viti o falci par che poti e tronchi,
     Tutto di ſangue il ſier Pagano aſperfo
     Laſciando capi feſſi e bracci monchi
     E ſpalle e gambe, e altre mébra ſparte
     Ouunqj il pano volga, al ſin ſi parte.

 [21]
De la piazza ſi vede in guiſa torre
     Che non ſi può notar c’habbia paura,
     Ma tutta volta col penſier diſcorre
     Doue ſia per vſcir via piú ſicura,
     Capita al ſin doue la Senna corre
     Sotto all’iſola e va ſuor de le mura
     La gente d’arme e il popul fatto audace
     Lo ſtringe e Scalza e gir noi laſcia i pace

 [22]
Qual per le ſelue Nomade o Maſſyle
     Cacciata va la generoſa belua
     Ch’anchor ſuggédo moſtra il cor gètile
     E minaccioſa e lenta ſi rinſelua,
     Tal Rodomonte in neſſun’atto vile
     Da ſtrana circondato e ſiera ſelua
     D’haſte e di ſpade, e di volanti dardi
     Si tira al fiume a paſſi lunghi e tardi.

 [23]
E ſi tre volte e piú l’ira il foſpinfe
     Ch’eſſendone giá ſuor vi torno in mezo,
     Oue di ſangue la ſpada ritinfe
     E piú di cento ne leuo di mezo,
     Ma la ragione al ſin la rabbia vinſe
     Di nò far ſi ch’a Dio n’ and affé il lezo
     E da la ripa per miglior conſiglio
     Si gitto all’acqua e vſci di grá periglio.

 [24]
Con tutte l’arme andò per mezo l’acque
     Come s’ intorno haueſſe tante galle:
     Africa in te pare a coſtui non nacque
     Bé che d’ Anteo ti vati, e d’ Hanniballe,
     Poi che ſu giunto a proda, gli diſpiacq$
     Che ſi vide reſtar dopo le ſpalle
     Quella citta: e’ hauea traſcorſa tutta
     E non l’hauea tutta aria ne diſtrutta.

 [25]
E ſi lo rode la ſuperbia e l’ira
     Che per tornarui vn’ altra volta guarda:
     E di profondo cor geme e ſoſpira
     Ne vuoine vſcir ch no la ſpiani & arda,
     Ma lungo il fiume in queſta ſuria mira
     Venir, chi l’odio eſtingue e l’ira tarda:
     Chi foſſe io vi faro ben toſto vdire
     Ma prima vn’ altra coſa v’ho da dire.

 [26]
Io v’ ho da dir de la Diſcordia altiera
     A cui l’angel Michele hauea cómeſſo
     Ch’a battaglia accendeſſe, e a lite ſiera
     Quei ch piú ſorti hauea Agramate appſſo,
     Vſci de ſrati la medeſma ſera
     Hauendo altrui l’ufficio ſuo cómeſſo,
     Laſcio la ſraude a guerreggiare il loco
     Fin che tornaſſe, e a mátenerui il fuoco.

 [27]
E le panie ch’andria con piú poſſanza
     Se la Superbia anchor ſeco menaſſe,
     E perche ſtaua tutte in vna ſtanza
     Non ſu biſogno ch’a cercar l’andaffe:
     La Superbia v’ andò, ma non che ſanza
     La ſua vicaria il monaſter laſciaffe:
     Per pochi di che credea ſtarne abſente
     Laſcio l’Hypocrifia locotenente.