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Riſpoſe il Re, non ſi voler partire
Se non vedea la ſua Lucina prima,
E che piú toſto appreſſo a lei morire
Che viuerne lontan faceua ſtima
Quando vede ella non potergli dire
Coſa chel muoua da la voglia prima,
Per aiutarlo fa nuouo diſegno
E pòui ognifua iduſtria ogni ſuo Igegno
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Morte hauea I caſa e d’ ogni tépo appeſe
Con lor mariti assai capre & agnelle:
Onde a ſé & alle ſue facea le ſpeſe
E dal tetto pendea piú d’ una pelle,
La donna ſé che’l Re del graſſo preſe
C hauea u gra becco itorno alle budelle
E che ſé n’ unſe dal capo alle piante
Fin ch l’odor caccio ch’egli hebbe inate
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E poi che’l triſto puzzo hauer le parue
Di che il fetido becco ogn’hora ſape
Piglia l’hirfuta pelle, e tutto entrarne
Lo ſé, che’lla e ſi grande che lo cape
Coperto ſotto a coſi ſtrane larue
Facendol gir carpon ſeco lo rape
La doue chiuſo era d’ un ſaſſo graue
De la ſua donna il bel viſo ſoaue.
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Norandino vbidiſce, & alla buca
De la ſpelonca, ad aſpettar ſi mette,
Accio col gregge dentro ſi conduca,
E fin’a ſera diſiando ſtette.
Ode la ſera il ſuon de la ſambuca
Co che’nuita a laſſar l’numide herbette
E ritornar le pecore all’albergo
Il ſier paſtor che lor venia da tergo.
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Penſate voi ſé gli tremaua il core
Quando l’Orco ſenti che ritornaua,
E chel viſo crudel pieno d’horrore
Vide appreſſare all’ufeio de la caua,
Ma potè la pietá piú che’l timore
S’ ardea vedete o ſé ſingendo amaua,
Vien l’Orco inazi, e leua il ſaſſo & apre
Norandino entra ſra pecore e capre.
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Entrato il gregge, l’Orco a noi deſcede,
Ma prima fopra ſé l’ufeio ſi chiude,
Tutti ne va ſiutando, al ſin duo prende,
Che vuol cenar de le lor carni crude,
Al rimebrar di quelle zanne horrende
NO poſſo far ch’achor no trieme e ſude,
Partito l’Orco il Re getta la gonna
C hauea di becco, e abbraccia la ſua Dona
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Doue hauerne piacer deue e conſorto
(Vedédol qui) ella n’ ha affanno e noia
Lovede giunto, ou’ha da reſtar morto
E nò può far perho ch’eſſa non muoia,
Co tutto’l mal (diceagli) ch’io ſupporto
Signor fenda non mediocre gioia,
Che ritrouato non t’ eri con nui
Quádo da l’Orco hoggi qui tratta ſui.
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Che ſé ben il trouarmi hora in procinto
D’ uſcir di vita m’era acerbo e ſorte:
Pur mi farei, come e comune inſtinto,
Dogliuta ſol de la mia triſta ſorte
Ma hora, o prima o poi che tu ſia eſtinto
Piú mi dorrá la tua che la mia morte:
E ſeguito moſtrado assai piú affanno
Di quel di Norandin che del ſuo dano.