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No ſaſſo, merlo, traue, arco, o baleſtra
Ne ciò che fopra il Saracin percuote
Ponno allentar la ſanguinoſa deſtra
Che la gra porta taglia ſpezza e ſcuote
E dentro fatto v’ ha tanta fineſtra
Che ben vedere e veduto eſſer puote
Da i viſi impreſſi di color di morte
Che tutta piena quiui hanno la corte,
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Suonar per glialti e ſpatiofi tetti
S’ odono gridi e feminil lamenti
l’afflitte donne percotendo i petti
Corron per caſa pallide e dolenti,
E abbraccian gliuſci e i geniali letti
Che toſto hano a laſciare a ſtrane géti,
Tratta la coſa era in periglio tanto
Quado’l Re giuſe, e ſuoi baroi accato.
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Carlo ſi volſe a quelle man robuſte
C’hebbe altre volte a gra biſogni pròte,
Non ſete quelli voi che meco fuſte
Contra Agolante (diſſe) in AſpramOte?
Sono le ſorze voſtre hora ſi fruſte
Che s’uccideſte lui, Troiano, e Almonte
Con cento mila, hor ne temete vn ſolo
Pur di ql ſangue e pur di qllo ſtuolo.
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Perche debbo vedere in voi ſortezza
Hora minor ch’io la vedeſſi allhora?
Moſtrate a queſto Can voſtra prodezza
A queſto Can che glihuomini deuora,
Vn magnanimo cor morte non prezza
Preſta o tarda che ſia, pur che bé muora
Ma dubitar non poſſo oue voi ſete
Che fatto ſempre vincitor m’hauete.
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Al ſin de le parole vrta il deſtriero
Con l’haſta baſſa al Saracino adoſſo:
Moſſeſi a vn tratto il Paladino Vgiero
A un tempo Namo & Vliuier ſi e moſſo
Auino, Auolio, Othone, e Berlingiero
Ch’ un ſenza l’altro mai veder no poſſo:
E ferir tutti fopra a Rodomonte
E nel petto, e ne i ſianchi, e ne la ſronte.
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Ma laſciamo per Dio Signore hormai
Di parlar d’ira, e di cantar di morte,
E ſia per queſta volta detto assai
Del Saracin non men crudel che ſorte,
Che tempo e ritornar dou’ io laſciai
Griphon, giúto a Damaſco in ſu le porte
Con Horrigille perfida, e con quello
Ch’ adultererá, e non di lei fratello,
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De le piú ricche terre di Leuante
De le piú populoſe, e meglio ornate
Si dice eſſer Damaſco, che diſtante
Siede a Hieruſalem fette giornate,
In vn piano ſruttiſero e abondante
Nò men giocondo il verno che l’eſtate,
A queſta terra il primo raggio tolle
De la naſcente Aurora vn vicin colle.
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Per la citta duo ſiumi chriſtallini
Vanno inaſſiando per diuerſi riui
Vn numero inſinito di giardini,
No mai di fior no mai di ſronde priui,
Diceſi anchor, che macinar molini
Potrian far l’acque lanſe che ſon quiui,
E chi va per le vie vi ſente, ſuore
Di tutte quelle caſe, vſcire odore.