Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/150


 [16]
Strepito aſcolta e ſpauenteuol ſuono
     D’arme percoſſe inſieme, onde s’affretta
     Tra piata e piata, e truoua dui che ſono
     A grá battaglia, in poca piazza e ſtretta,
     No s’ hanno alcun riguardo, ne perdono
     Per far (non ſo di che) dura vendetta,
     l’uno e gigante alla ſembianza fiero,
     Ardito l’altro e ſranco Caualliero.

 [17]
E queſto con lo ſcudo e con la ſpada,
     Di qua di la ſaltando ſi difende,
     Perche la mazza fopra non gli cada,
     Co che il Gigate a due ma ſemp oſſede,
     Giace morto il cauallo in ſu la ſtrada:
     Ruggier ſi ferma e alla battaglia attede,
     E torto inchina V animo, e diſia
     Che vincitore il cauallier ne ſia.

 [18]
No che per queſto gli dia alcuno aiuto,
     Ma ſi tira da parte, e ſta a vedere:
     Ecco col baſton graue il piú membruto
     Sopra l’elmo a due man del minor fere,
     De la percoſſa e il cauallier caduto:
     L’altro che ’l vide attonito giacere:
     Per dargli morte l’elmo gli difiaccia,
     E fa ſi che Ruggier lo vede in faccia.

 [19]
Vede Ruggier de la ſua dolce e bella
     E cariſſima donna Bradamante
     Scoperto il viſo, e lei vede eſſer quella,
     A cui dar morte vuol l’empio Gigante,
     Si che a battaglia ſubito l’appella:
     E con la ſpada nuda ſi fa inante:
     Ma quel che nuoua pugna non attende
     La donna tramortita in braccio prende.

 [20]
Et ſé P arreca in ſpalla, e via la porta
     Come Lupo tal’hor piccolo agnello:
     O l’Aquila portar ne l’ugna torta
     Suole o Colobo, o ſimile altro augello:
     Vede Ruggier quato il ſuo aiuto Sporta
     E vien correndo a piú poter, ma quello
     Con tanta fretta i lunghi paſſi mena
     Ch co gliocchi Ruggier lo ſegue apea.

 [21]
Coli correndo l’uno, e ſeguitando
     l’altro, p vn fenderò ombroſo e ſoſco,
     Che ſempre ſi venia piú dilatando
     In vn gra prato vſcir ſuor di quel boſco
     No piú di qſto ch’io ritorno a Orlando:
     Che’l ſulgur ch porto giá il Re Cimoſco
     Hauea gittato in mar nel maggior ſodo
     Accio mai piú non ſi trouaſſe al mondo.

 [22]
Ma poco ci giouo che ’l nimico empio
     De l’humana natura: ilqual del telo
     Fu P inuétor, e’ hebbe da quel P eſempio:
     Ch’apre le nubi, e I terra vien dal Cielo:
     Con quaſi non minor di quello ſcempio
     Che ci die, quado Eua Igáno col melo:
     Lo fece ritrouar da vn Negromante
     Al tempo de noſtri Aui, o poco inante.

 [23]
La machina inſernal di piú di cento
     Paſſi d’acqua, oue ſte aſcoſa molt’anni
     Al ſommo tratta per incantamento,
     Prima portata ſu tra gli Alamanni,
     Liquali vno, & vn’ altro eſperimento
     Facendone, e il Demonio a noſtri danni
     Affutigliando lor via piú la mente,
     Ne ritrouaro l’ufo ſinalmente.