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86 | i suppositi. |
sia. Ma di chi voglio io fare strazio? Io, io solo son quello che merito esser punito, che mi ho fidato lasciarla in guardia di questa puttana vecchia. S’io voleva che fusse ben custodita, la dovea custodire io, farla dormire nella camera mia, non tenere famigli gioveni, non le fare un buon viso mai. O cara moglie mia, adesso conosco la jattura ch’io feci, quando di te rimasi privo. Deh! perchè già tre anni, quando io potetti, non la maritai? Se ben non così riccamente, almen con più onore l’averei fatto. Io ho indugiato di anno in anno, di mese in mese, per porla altamente: ecco che me ne accade! A chi volevo io darla? a un signore? misero, o infelice, o sciagurato me! questo è ben quel dolore che vince tutti gli altri. Che perdere roba? che morte di figliuoli e di moglie? Questo è lo affanno solo che può uccidere, e mi ucciderà veramente. O Polimnesta, la mia bontà verso te, la mia clemenzia non meritava così duro premio.
Nebbia. Padrone, il tuo comandamento eseguito abbiamo: eccoti qui la chiave.
Damone. Bene sta. Vanne ora a trovare Nomico da Perugia, e da mia parte lo prega che mi presti quelli ferri da prigioniero ch’egli ha; e torna subito.
Nebbia. Io vado.
Damone. Odi: se ti dimanda che ne voglio fare, di’ che tu nol sai.
Nebbia. Così dirò.
Damone. Guarda che non dicessi ad alcuno che Dulipo sia preso.
Nebbia. Non ne parlerò con uomo vivo.
SCENA IV.
NEBBIA servo, PASIFILO parasito, PSITERIA ancilla.
Nebbia. È impossibile maneggiar li danari d’altri, che qualch’uno non ti rimanga fra le unghie. Mi maravigliavo bene che Dulipo vestir si potesse così bene, di quel poco salario ch’egli aveva dal padrone: ora comprendo che n’era causa. Egli era il spenditore; egli aveva la cura di vendere li formenti e li vini; egli pigliava e tenea conto de l’entrate e de le spese, ed era fa il tutto.1 Dulipo di qua, Dulipo di
- ↑ Traduzione non illeggiadra del comunissimo Factotum, e da preferirsi al Factoto e al Factuto, che pur sono in alcuno tra i vivi parlari d’Italia.