Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/95


atto terzo. — sc. ii, iii. 85

SCENA II.

DAMONE, DULIPO e NEBBIA.


Damone.     Dulipo.

Dulipo.     Padrone.

Damone.     Ritorna in casa, e di’ al Nebbia, al Moro ed al Rosso, che vengano di fuori, ch’io li voglio mandare in diversi luoghi. Tu va in la camera terrena, e guarda nell’armario de le scritture, e cerca tanto che ritruovi un instrumento, rogato per Lippo Malpensa, de la vendita che fece Ugo da la Siepe a mio bisavo, d’un campo di terra che si chiama il Serraglio, ed arrécalo qui a me.

Dulipo.     Io vado.

Damone.     (Va pur, chè ben altro instrumento che non pensi, vi troverai. Oh misero chi in altro che in sè stesso si confida! O ingiuriosa fortuna, che da casa del gran diavolo questo ladroncello mandato m’hai per ruina de l’onore mio e di tutta la mia casa!) Venite qua voi, e fate quel ch’io vi comandarò; ma con diligenzia. Andate nella camera terrena, dove trovarete Dulipo, e simulando di volere altro, accostáteveli, e prendetelo, e con la fune ch’io v’ho lasciata a questo effetto, che vederete sul desco, legateli le mani e piedi, e portatelo ne la stanzia piccola e buja, la quale è sotto la scala, e lasciatelo quivi, e con destrezza e con minore strepito che si può. Tu, Nebbia, ritorna a me subito fatto questo: éccoti la chiave; ripórtamela poi.

Nebbia.     Sarà fatto.


SCENA III.

DAMONE e NEBBIA.


Damone.     Com debb’io, ahi lasso! di così grave ingiuria vendicarmi? Se questo scelerato secondo li suoi pessimi portamenti e la mia giustissima ira punir voglio, da le leggi e dal principe sarò punito io, perchè non lice a cittadino privato di sua propria autorità farsi ragione; e se al duca o agli officiali suoi me ne lamento, pubblico la mia vergogna. Deh! che penso io di fare? Quando di questo tristo ancora avessi fatto tutti li strazî che siano possibili, non potrò fare però che mia figliuola violata ed io disonorato in perpetuo non


ariosto.Op. min. — 2. 8