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atto terzo. — sc. i. 83


Crapino.     S’io son frasca, son dunque mal sicuro a venire con un becco.

Dalio.     S’io non fussi carico, ti mostrerei s’io sono un becco.

Crapino.     Rare volte t’ho veduto che non sii carico, o di vino o di bastonate.

Dalio.     Al dispetto ch’io non dico!...

Crapino.     Ah poltrone! tu biastemi col cuore, e non osi con la lingua.

Dalio.     Io el dirò al padrone: o ch’io mi partirò da lui, che non mi dirai villania.

Crapino.     Fammi il peggio che tu sai.

Erostrato.     Che rumor è questo?

Crapino.     Costui mi vuol battere, perch’io lo riprendo che biastema.

Dalio.     Menti per la gola; mi dice villania perch’io lo sollicito che venga presto.

Erostrato.     Non più parole. Tu apparecchia ciò che fa di bisogno; come io ritorno, ti dirò quello ch’io voglio che sia lesso e quello arrosto: e tu, Crapino, pon giù quel cesto, e torna, chè mi facci compagnia — Oh come ritroverei volentieri Pasifilo! e non so dove. Ecco il padron mio, forse me ne saprà dar egli notizia.

Dulipo.     Che hai fatto del tuo Filogono?

Erostrato.     L’ho lasciato in casa.

Dulipo.     E dove vai tu ora?

Erostrato.     Vorrei ritrovare Pasifilo: me lo sapresti insegnar tu?

Dulipo.     Non; è ben vero questa mattina disinò qui con Damone, ma non so poi dove si sia ito. E che ne vuoi tu fare?

Erostrato.     Che egli notifichi a Damone la venuta di questo mio padre, il quale è apparecchiato a fare la sovraddote ed ogni altra cosa che possa egli per noi. Voglio che tu vedi se io saperò quanto quello pecorone, che fa ciò che può per diventare un becco.

Dulipo.     Va, caro fratello; cerca Pasifilo tanto che lo ritruovi, chè oggi si concluda quel che è possibile a beneficio nostro.

Erostrato.     Ma dove debb’io cercarlo?

Dulipo.     Dove si apparecchiano conviti; alle beccaríe ed alle pescaríe ancora si trova spesso.

Erostrato.     Che fa egli qui?