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80 | i suppositi. |
tu ne parlerai nè con Pasifilo nè con Damone nè con persona alcuna.
Cleandro. Io son contento: aspetta ch’io toglia una carta.
Carione. (Questa debbo essere qualche ciancetta, che colui gli dà da parte di questa giovene che l’ha fatto impazzire, con speranza di trarne qualche guadagnetto.)
Cleandro. Ecco pur ch’io ho ritrovato una lettera.
Carione. (Conosce mal l’avarizia sua: ci bisognano tanaglie, e non parole; chè più presto si lascerebbe trarre un dente della mascella, che un grosso della scarsella.)
Cleandro. Pigliala tu in mano,1 e così ti giuro che di quanto tu mi dirai, non ne parlarò a persona del mondo, se non quanto piacerà a te.
Dulipo. Sta bene. M’incresce che Pasifilo ti dia la baja, e che tu creda che parli o procuri per te; ed insta continuamente e stimula il padron mio, che dia sua figliuola a un certo scolare forestiero che ha nome Rossorasto, o Arosto: non lo so dire; ha un nome indiavolato.
Cleandro. E chi è? Erostrato?
Dulipo. Sì sì, non mi sarebbe mai venuto in bocca. Gli dice tutti li mali che sian possibili ad immaginarsi di te.
Cleandro. A chi?
Dulipo. A Damone, ed a Polimnesta ancora.
Cleandro. Ah ribaldo! e che dice egli?
Dulipo. Quanto si può dir peggio.
Cleandro. O Dio!
Dulipo. Che tu sei il più avaro e misero uomo che nascesse mai, e che tu la lascerai morir di fame.
Cleandro. Pasifilo dice questo di me?
Dulipo. Di questo il padre si cura poco, chè ben sapeva che, essendo tu della professione che tu sei, non potevi essere altrimenti che avarissimo.
Cleandro. Io non so chi è2 avaro; so bene che chi non ha roba, a questo tempo è reputato una bestia.
Dulipo. Egli ha detto che tu sei fastidioso ed ostinato sopra tutti gli altri, e che tu la farai consumare di affanno.
Cleandro. O uomo maligno!
- ↑ È noto il costume de’ notai, di far giurare altrui toccando le scritture da essi preparate. Cleandro causidico segue in questo la sua propria abitudine; nè so se possa inferirsene che il volgo di que’ tempi solesse contraffare un tal uso mediante una carta qualsiasi.
- ↑ Prendiamo arbitrio d’interpretare anzichè correggere le antiche stampe, nelle quali leggesi: non so che. Il Barotti suppliva: che sia.