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atto secondo. — sc. iii. 79


Cleandro.     Tua colpa, che così ben gli hai cura.

Carione.     Colpa pur del fieno e de la biada, che son cari.

Dulipo.     (Lascia lascia fare a me.)

Cleandro.     Taci, imbriaco, e guarda per la contrada se tu vedi costui.

Dulipo.     (Quando non faccia altro, porrò tra Pasifilo e lui tanta discordia, che Mercurio non li potrebbe ritornare amici.)

Carione.     Non potevi tu mandare a cercarlo, senza che tu ci venissi in persona?

Cleandro.     Sì, chè voi sête diligenti!

Carione.     O padron, di’ pur che tu passi per di qui per vedere altro che Pasifilo; chè se egli ha voglia di mangiar teco, è un’ora che ti deve aspettar a casa.

Cleandro.     Taci, ch’io intenderò da costui se egli è in casa del padron suo. Non sei tu de la famiglia di Damone?

Dulipo.     Sì sono, a’ piaceri e a’ servizi tuoi.

Cleandro.     Ti ringrazio. Mi sai dire se Pasifilo questa mattina è stato a parlargli?

Dulipo.     V’è stato, e credo che ci sia ancora: ah, ah, ah!

Cleandro.     Di che ridi tu?

Dulipo.     Di un ragionamento che egli ha auto col padron mio, che non è però da ridere per ognuno.

Cleandro.     Che ragionamento ha auto con lui?

Dulipo.     Ah, non è da dire.

Cleandro.     È cosa che a me si appartenga?

Dulipo.     Eh!

Cleandro.     Non rispondi?

Dulipo.     Ti direi il tutto, s’io mi credessi che tu mi tenessi secreto.

Cleandro.     Io tacerò, non dubitare. Espetta tu là.

Dulipo.     Se mio padrone lo risapesse poi, guai a me.

Cleandro.     Non lo risaperà mai; di’ pure.

Dulipo.     E chi me ne assicura?

Cleandro.     Ti darò la fede mia in pegno.

Dulipo.     È tristo pegno; l’Ebreo non li dà sopra dinari.

Cleandro.     Tra gli uomini da bene val più che oro e gemme.

Dulipo.     Vuoi pur che te lo dica?

Cleandro.     Sì, se appartiene a me.

Dulipo.     A te appartiene più che ad uomo del mondo; e mi duole che una bestia qual è Pasifilo, dileggi un par tuo.

Cleandro.     Dimmi dimmi, che cosa è?

Dulipo.     E voglio che tu mi giuri per sacramento, che mai