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72 | i suppositi. |
Erostato. A tempo, padron mio, ti veggio.
Dulipo. Deh chiamami Dulipo, per tua fè, e mantienti la reputazione una volta, che, volendo io così, hai col mio nome incominciata.
Erostrato. Questo ci monta poco, poichè nessuno è qui presso che ci possa intendere.
Dulipo. Per la consuetudine potresti errare facilmente dove saremmo notati: ábbici avertenza. Or che novelle m’apporti?
Erostrato. Buone.
Dulipo. Buone?
Erostrato. Ottime: abbiam vinto il partito.
Dulipo. Beato me, se fusse vero.
Erostrato. Tu lo intenderai.
Dulipo. E come?
Erostrato. Trovai jersera il parasito, il qual non dopo molti inviti menai a cena meco, dove, e con buone accoglienze e con megliori effetti me lo feci amicissimo; talmente che tutti li disegni di Cleandro e la volontà di Damone mi rivelò, e mi promise in questa pratica operare per l’avvenire in mio favore.
Dulipo. Non ti fidare di lui, ch’egli è fallace e più bugiardo che se in Creta o in Africa nato fusse.
Erostrato. Lo conosco ben io: tuttavia ciò che m’ha detto, tocco con mano essere verissimo.
Dulipo. Che t’ha detto, in fine?
Erostrato. Che Damone era in animo di dare la figliuola al dottore, di poi che quello offerto gli aveva doi milia ducati d’oro di sopraddote.
Dulipo. E queste sono le buone, anzi le ottime novelle, ed il partito vinto che apportar mi dicevi?
Erostrato. Non volere intendere tu prima ch’io abbia dato al mio ragionamento fine.
Dulipo. Or séguita.
Erostrato. A questo gli risposi, ch’io ero apparecchiato, non men che fusse Cleandro, a far altrettanto di sopraddote.
Dulipo. Oh quanto fu buona risposta!
Erostrato. Aspetta, chè tu non sai anco dove sta la difficultà.
Dulipo. Difficultà? dunque c’è peggio ancora?
Erostrato. E come posso io, fingendomi figliuolo di Filogono, senza autorità e consenso di quello obbligarmi a tal cosa?