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60 | la cassaria. — sc. iv, v. |
di più somma tributarî, che non fu al mio principio mia speranza. Altro non mi resta ora che sciôrre il voto che ti feci. Fortuna, di stare imbriaco quattro giorni1 intieri: io ti satisfarò volentieri, e vi darò principio tosto ch’io n’abbia agio. Ma ecco che li miei soldati escono, carichi di spoglie e preda ostile, di casa di Crisobolo; e sol pônno questa lor ventura al mio ingegno, alla mia virtù attribuire.
SCENA V.
VOLPINO, EROFILO, FULCIO.
Volpino. Io vederò di farlo rimanere tacito per quel che poterò meno, e farò più che se tu ci fusse in persona, e so che ti loderai di me.
Erofilo. O Fulcio, quando ti poterò mai referire degne grazie del gran benefizio che tu m’hai fatto? S’io mettessi per te ciò ch’io ho al mondo, non mi par che mai satisfar potessi all’obbligo ch’io ho teco.
Fulcio. Mi basta assai che mi facci buon viso.
Erofilo. Ma dove è la mia unica speranza, il mio refugio, la vera mia salute?
Volpino. Fulcio, di gran travagli, di gran paura, di crudelissimi tormenti hai liberata questa vita; sì che ad ogni tuo cenno io son per spenderla dove ti parrà.
Fulcio. Volpino, queste son opere che si prestano. Ti pare, Erofilo, ch’io t’abbia saputo ritrovar danari in abondanzia?
Erofilo. Molto più che quelli che avemo detti.
Fulcio. Ho voluto che, oltra a quelli che daremo al ruffiano, tu n’abbi per mantenere la fanciulla, e per le spese, e per gli altri suoi bisogni.
Erofilo. Eccoteli tutti; fanne quel ti pare.
Fulcio. Tiengli e portagli teco, chè súbito che io abbia condotta Corisca a Caridoro, ti verrò a casa del Moro a ritrovare. — Brigata, tornátevene a casa, chè questa fanciulla ch’io vo a tôrre, non vuole esser veduta uscire; e devendo anco il ruffiano fuggirsene, non è a proposito che ci sieno tanti testimoni. E fate segno d’allegrezza.
- ↑ Così hanno le stampe; ma nella scena ottava dell’atto IV aveva detto tre giorni. — (Tortoli.)