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56 | la cassaria. |
SCENA IV.
CRISOBOLO, FULCIO.
Crisobolo. Chi a quest’ora importuna mi domanda?
Fulcio. Non ti maravigliare; e perdonami s’io t’ho chiamato qui fôra, chè avendoti a dire cose secretissime, non mi fido costà drento di non essere udito da gente che poi lo rapporti. Io mi potrò meglio qui vedere a torno, nè averò dubbio che mi ascolti uomo che io non veggia. Ma ritiriânci più nella strada, e fa che questi tuoi si stieno drento.
Crisobolo. Espettatemi in casa voi. Tu di’ ciò che ti pare.
Fulcio. Io t’ho da salutare prima in nome di Caridoro, figliuolo di Bassam di Metellino, il quale, per la amicizia che è fra tuo figliuolo e lui, t’ha in osservanzia ed ama come patre; e per questo, dove lui veggia di posserti fare utile e onore e schivarti biasimo e danno, non è mai per mancarti.
Crisobolo. Io lo ringrazio, e gli sono obbligatissimo sempre.
Fulcio. Or odi. Uscendo egli testè di casa per andare, come usano li gioveni, a spasso (ed io era con lui), ci scontramo innanzi al palazzo, come la tua buona sorte vuole, in uno certo ruffiano, che dice essere tuo vicino...
Crisobolo. Oh bene!
Fulcio. Che veniva irato, gridando; e con dui, che non so chi si sieno, molto di te e di tuo figliuolo si doleano.1
Crisobolo. E che dicea?
Fulcio. E’ se n’andava al Bassam diritto a querelarsi, se non l’avesse Caridoro ritenuto, di un giunto che gli ha fatto il figliuol tuo; che in verità, se dice il vero, ch’è di pessima natura e sorte.
Crisobolo. (Or pon mente che travaglio mi si apparecchia per la pazzia di costui!)
Fulcio. Dicea che un certo barro, che vestito a guisa di mercatante...
Crisobolo. (Or vedi che pur...)
Fulcio. Gli avea mandato con certo pegno a tôrre una sua femmina. Io non l’ho inteso a punto, perchè m’ha Caridoro con troppa fretta mandato ad avvisarti correndo.
- ↑ Così tutte le stampe; solo la più recente corregge: si dolea. Non è impossibile questa relazione, come dicono, intellettuale, poichè il discorso facevasi in tre persone, due delle quali si suppongono consenzienti ai detti dell’altro.