nar di corto), quello graziosissimo signore mi fece dipinger questa bandiera, in testimonio di molte esperienze parte da sua eccellenza vedute, parte da essa per degni di fede testimoni intese. Ora, quale e quanto sia maestro Antonio Faventino (chè questo è il nome mio)1 sa, non meno dell’Italia, la ingegnosa Alemagna, cominciando dal ducato d’Austria fino a quello di Sansonia e di Selesia; e scendendo lungo il Reno per tutte le terre franche, il sa tutta la Fiandra col Brabante, e sino nell’isola di Olanda. Dell’opere mie sono testimonî molti luoghi di Francia e d’Inghilterra e di Scozia, chè tutto per ordine sarebbe lungo a dire; e restano ancora stupefatti dell’opere mie, e mirabili cure che in ogni generazione d’infirmità far mi videro. Ora, chi si volgesse verso il Levante, cercando l’Albania, la Bossina, la Romanía, la Moréa, l’Arcipelago e tutta la Grecia, fino alla famosa città di Costantinopoli; e da un altro canto, discorrendo per l’isole di Candia, di Rodi e di Cipro, e venendo in Alessandria d’Egitto, e nella grandissima e popolosa città del Cairo, di Jerusalem e di Damasco, e per tutta la Soría fino alla radice del monte Tauro ed alle paludi Meotide, udiría non altrimenti esser nominato maestro Antonio Faventino, che da gli antichi Epidauri fosse Esculapio; e la quantità dell’opre mie in tutti i connumerati paesi, ed in molt’altri ancora (i quali per fuggire la lunghezza del parlare io pretermetto), non mi bastarebbe tutto questo giorno, nè un altro appresso, a raccontare. Pure n’ho fatto su questa bandiera ritrarre l’immagine d’alcune; acciò che si possa vedere con gli occhi quello che volendo io riferire a questo ed a quello che fosse curioso di saperlo, mi saría fastidioso e molesto a replicare tante volte. A questo che parte vi narro a bocca e parte dimostro qua su dipinto, potrebbe essere che io non ritrovarei quella credenza che merita la verità che mi sia data: nè me ne attristo nè me ne dolgo però molto; perchè a me non avviene cosa che a molti altri eccellenti
- ↑ «Messer Antonio Faentino... non è altri che il celebre Antonio Cittadini di Faenza, professore in diverse città d’Italia, e, tra le altre, in Ferrara negli anni 1474 e 1489; di cui si hanno alcune Epistole latine dirette a Giovan Francesco Pico; ed alla pratica in medicina aggiunse l’essere versato in lingua greca ed in poesia latina, tanto che.... una sua traduzione degli Aforismi d’Ippocrate in versi latini vien lodata in una lettera di Marsilio Ficino.» Così il Baruffaldi, nella Vita di messer L. Ariosto, pag. 165. Se non che, ciò concesso, cotesto medico o cerretano, supponendolo anche fatto professore poco più che di soli venti anni, sarebbe stato, quando l’Erbolato scrivevasi, quasichè ottuagenario.