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atto quarto. — sc. vi, vii. 43


Aristippo.     Converrà che facciamo come i cavalieri da Napoli, che si dice s’accompagnan l’un l’altro.

Fulcio.     Che hai tu, bestia? che t’è accaduto di fresco?

Volpino.     Ahi lasso! ch’io ho lasciato il Trappola in casa con li panni del mio vecchio indosso, e non mi son ricordato, prima che arrivi il patron, di correre a dispogliarlo, e rendergli il suo gabbano, che serrai nella mia stanza.

Fulcio.     Ah trascurataccio! va súbito e fallo nascondere, chè non lo veda Crisobolo almeno.

Volpino.     Io sarò tardi; e tardi ben son stato, chè sento il rumore e ’l strepito grande.


SCENA VII.

CRISOBOLO, VOLPINO, TRAPPOLA.


Crisobolo.     Dove ti credi fuggire? sta saldo, viso di ladro: onde hai tu rubbata questa mia veste?

Volpino.     (Che farai più, sciagurato Volpino?)

Crisobolo.     Tu dê esser quell’uom da bene che m’averà rubata la cassa ancora.

Volpino.     (Oi! me gli potessi accostare all’orecchio un poco!)

Crisobolo.     Tu non rispondi, truffatore? a chi dico io? Ajutatemi, chè non mi fugga. Tu non vuoi parlare, eh? Costui è mutolo, o che lo finge.

Volpino.     (Non potea all’improvviso infortunio trovar miglior riparo: ora è da soccorrergli.) Patron, che hai a far col mutolo?

Crisobolo.     Ho trovato costui nella cucina vestito alla guisa che tu vedi.

Volpino.     Chi diavolo ha condotto questo mutolo in cucina?

Crisobolo.     E non gli posso far rispondere una parola.

Volpino.     E come vuoi, se è mutolo, che risponda?

Crisobolo.     È mutolo costui?

Volpino.     Che? non lo conosci?

Crisobolo.     Non lo vidi mai più.

Volpino.     Tu non lo conosci? il mutolo che sta nella taverna della Simia?

Crisobolo.     Che mutolo, che simia vuoi tu ch’io conosca? A tuo dire, parrebbe ch’io andassi, manigoldo, alla taverna.