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ERBOLATO,

NEL QUALE È INTRODOTTO A PARLARE MAESTRO ANTONIO FAENTINO.




Egli è credibile che a principio che il sommo Iddio fece gli animali che in queste ultime sfere, in aria, in acqua ed in terra versano, il nuovo uomo rivolgendosi intorno, e considerando le altre specie de’ viventi, si attristasse, e della natura si rammaricasse non poco, vedendone alcune levarsi a volo e salir verso il cielo; altre nell’acque dal sommo all’imo nuotar sicure; altre con celerità scorrere ed aggirarsi per la spaziosa terra; alcune di penne e di piume, alcune di diversi peli, e quali di setole, e quali di cuojo e di grossa pelle, e quali di dure croste e scaglie, e quali d’acute spine vestite; e tollerar per questo di notte e di giorno il freddo e ’l caldo, e senza offesa di lor corpi giacere per l’umide spelonche e sopra la nuda terra al ciel scoperto: nè solo degli sensitivi animali essere questa natura sollecita, ma agli alberi ancora aver concesso di potersi con doppia scorza dalla state e dal verno riparare: e vedere appresso alcune specie di animali di pungenti corna armate; altre di fortissimi denti; alcune di robustissimi piedi, o sì veloci, che di ogni pericolo poteano levarle in un momento. Sè stesso poi dall’altra parte considerando, si conoscéa pigro e lento, e più di tutti gli altri debole; nè d’alcuna difesa, o per resistere o per fuggire, provvisto. Vedéasi solo esser creato ignudo; e con pianto e con gemito nella nuda terra essere, il dì che nasce, gittato; nè alcuno aver più di se le lagrime pronte. Egli sì inetto, egli sì imbecille, che nel suo principio non si può se non carpone muovere; nè su la sua persona, se non con lunghezza di tempo, reggere; nè mutare nè fermare i passi, nè articolare la voce, nè pure apprender di mangiare, nè da sè nodrirsi. Poi si vedéa a grandi ed innumerabili infermità più di tutti gli altri soggetto. Onde, fra sè queste cose discor-