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42 la cassaria.


Crisobolo.     Ancor apri la bocca, ladron manifesto?

Lucrano.     E chi più di te manifesto, che mi vieni a rubare, e ne meni li testimonî teco?

Crisobolo.     Se non parli cortesemente, ti farò, ghiotton...

Critone.     Non gridar con questa cicala, che non è convenevole a un par tuo: andiamo. Se tu pretendi che ti si faccia torto, lásciati veder in palazzo dimani. Andiamo.

Lucrano.     Mi vedrete, siatene securi: non andarà, non, per dio, come vi credete forse. (Ma or son troppi, ed io son solo: ben ci rivederemo in loco dove non averanno sì gran vantaggio).

Crisobolo.     Vedesti voi mai il più audace e presuntuoso ladro di costui?

Critone.     Non veramente. Gran ventura hai avuta, Crisobolo, che mi piace.

Crisobolo.     La maggior del mondo.

Critone.     Vuoi altro da noi?

Crisobolo.     Che di me, dove io possa, vi degnate servirvi. To’, Volpino, quel lume, e ritornali a casa.


SCENA VI.

FULCIO, VOLPINO, CRITONE, ARISTIPPO.


Fulcio.     Vuoi ch’io t’aspetti, Volpino?

Volpino.     Voglio, chè ho da ragionare un pezzo teco.

Fulcio.     Ritorna presto.

Volpino.     Sarò qui súbito; ma meglio è che venga tu ancora.

Fulcio.     Vai lontano?

Volpino.     Vo a lato questo canto, alla prima casa.

Fulcio.     Verrò anch’io.

Volpino.     Vien, chè torneremo insieme ragionando. Oh diavolo!

Fulcio.     Che ti rompa ’l collo. Che hai tu?

Volpino.     Io son ruinato, io son disfatto!

Fulcio.     Che hai di nuovo?

Volpino.     To’ questo lume, e accompagna questi gentil’uomini a casa. Maladetta la mia sì poca memoria!

Fulcio.     Tenetelo voi, e fatevi lume voi stessi, chè voglio ciò che di nuovo a questo pazzo accade intendere.

Critone.     Buon servitori tutti due sete, e cortesi giovani per certo!