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atto quinto. — sc. iv. 507

Lazzaro.Ecco il Riccio. Com’hai sì longa indugia,1
O Riccio, fatta?
Bartolo.                            (Non so se a memoria
M’avría2 tornato costui così subito.
Già più nol vidi, ch’egli era pur picciolo.
Come lavora il tempo!)
Riccio.                                        Messer Lazzaro,
Io non trovo l’amico.
Lazzaro.                                      No? rivoltati;
Mira se ho miglior naso a trovar gli uomini
Di te.
Riccio.          O messer Claudio, come piacemi
Vedervi sano!
Claudio.                      Dunque, mi cercavi tu,
Riccio? Ed ancor a me vederti piacemi
Sano.
Bartolo.          Guardami, Riccio; mi conosci tu?
Riccio.S’io vi conosco? Mi par di conoscervi.
Io vi conosco; siete messer Bartolo,
Compagno di Gentil, che della giovane
Fu padre, c’ho seguita: e molto allegromi
Avervi ritrovato e conosciutovi;
Chè per amor di quel vostro carissimo
Gentile, spero porrete ogni studio
Acciò possa ricuperarla e renderla
Alla padrona. Questa un certo Accursio...
Bartolo.Non più. Riccio, non più; sono benissimo
Del tutto instrutto. Udite, messer Lazzaro;
Udite ancora voi, o messer Claudio;
E tu, o Riccio. Mio figliuolo Eurialo
Ha fatto alla contessa questa ingiuria:
Io vô ch’ella s’ammendi, ed onestissimo
Mi par che vada innanzi il matrimonio
Che avevano trattato messer Lazzaro
E ’l vicin Bonifacio. Riccio, intendila?
Davan la giovan per moglie ad Eurialo.
Riccio.Seguite pur; io v’intendo benissimo.
Bartolo.Così alla giovan levaremo il biasimo,
E la contessa deporrà il mal animo.


  1. Segno che indugia per indugio (ambedue dal lat. induciæ) fu già voce parlata.
  2. Mi sarebbe. Onde, credo, non bene le antiche stampe: M’avrai.