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atto quarto. — sc. iv, v. 41

giunto d’una sua femmina il più bello e meglio disegnato del mondo, e che poi verrebbe avvisarne d’ogni successo, acciò che noi fornissimo quel resto a che non poteva lui innanzi. Siamo Caridoro ed io stati tutta sera alla posta, nè ancor n’aviamo udita novella. Io vo per saper se ha mutato proposito, pur se qualche impedimento gli è venuto in mezzo.

Volpino.     (Io sento venire uno in qua: par che lui vadi per battere alla porta nostra.) Olà, che cerchi? chi dimandi tu?

Fulcio.     O Volpino, io non cerco, io non domando altri che tu.

Volpino.     Io non ti avevo, Fulcio, conosciuto: che vuoi?

Fulcio.     Che si fa? avete mutato consiglio? o pur non vi ricordate più di quel che dicemmo oggi?

Volpino.     O Fulcio, il diavol ci ha messo il capo con tutte le corna, e non pur, come si dice, la coda, per guastare i nostri ordini in tutto.

Fulcio.     Che ci è di male?

Volpino.     Te ’l dirò, ma... taci taci.

Fulcio.     Che turba è questa che con tanto romore esce? che strepito esce di casa del ruffiano?


SCENA V.

LUCRANO ruffiano, CRISOBOLO, CRITONE, VOLPINO.


Lucrano.     Si fa così a’ forestieri, uomo da bene, eh?

Crisobolo.     Si fa così a’ cittadini, ladro, eh?

Lucrano.     Non passerà come tu pensi; me ne dorrò sino al cielo.

Crisobolo.     Io non anderò già tanto alto a dolermi, ma bene in loco ove la tua scelerità sarà punita.

Lucrano.     Non ti persuadere, perch’io sia ruffiano, ch’io non debba essere udito...

Crisobolo.     Ancora ardisci a parlare?

Lucrano.     E che non abbia lingua a dire le ragion mia.

Crisobolo.     Cotesta ti farà il capestro uscire un palmo della bocca. Che audacia avrebbe se in casa nostra avesse ritrovato il suo?

Lucrano.     Porròmmi, e farò porre quanti n’ho in casa al tormento, e farò constare a qual voglia giudice, che la cassa m’ha data pegno un mercatante per lo prezzo d’una mia femmina, come v’ho detto.