Che deve aver spiato1 di noi misere
Quello che siamo; perchè mai non mancano
Chi i fatti d’altri più che i propri curano,
E non pônno tacer cosa che sappiano.
Di ciò mi nacque spavento grandissimo:
Pur io volli aspettar messer Eurialo,
Che statüisse quel che a fare avéamo;
E poco stette che venne, ma pallido
In viso, come è pallida la cenere.
Io me gli affronto súbito, e ricercolo
Che voglia far di noi, e fogli intendere
Quel c’ho veduto del misero Accursio.
Ei mi risponde come fusse stupido
Divenuto, e più morto assai pareami
Che i morti stessi.2 Pel che fo giudicio3
Che mal sicure sotto il patrocinio
Suo ci4 troviamo. Però mi delibero
Di provveder a’ casi miei, lasciando la
Mal consigliata Ippolita in custodia
A Dio, e a quel sol raccomandandola;
Non già al suo amante, c’ha maggior penuria
D’ajuto e di consiglio, che noi femmine.
E5 ben credo aver fatto, già che toltami
Son fuor di casa; perchè molto dubito,
Che se queill’uom tornava, essendo in collera,
Possibil non saría stato il difendermi,
Che con male parole ingiurïatami
Non avesse, e ruffiana e peggio dettomi.
E se parole sole state fussero,