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prologo di v. ariosto. 429

Saría del tutto: adunque la causa eccovi
Che l’indusse a finir questa Commedia.
Or parmi esser qui molti che vorrebbono
Sapere dove insieme si congiungano
Le parti de l’autor primo e de l’ultimo.
Ve lo direi volentieri; ma impostomi
Ha questo nuovo autore ch’io stia tacito,
Per esser qui persone di giudizio
Grande e d’ingegno, a’ quai darei da ridere
S’io lor dicessi quello che chiarissimo
Da sè si mostra. Oltra che, dir potrebbono:
— Vedi quanta esser debbo l’ignoranzia
Di costui, come sciocco, che si reputa
Che da noi stessi non siam per discernere
Il ner dal bianco! — E perchè il ver diríano,
Egli vi priega, e vel dimanda in grazia,
Che scusar lo vogliate; promettendovi
Che avrete gran piacer di questa fabula,
Nè recitata mai, nè molto simile
A l’antiche di Plauto o di Terenzio.
Siategli, dunque, grati e favorevoli,
Stando ad udire il tutto con silenzio.




ATTO PRIMO.




SCENA I.

BONIFACIO, CLAUDIO.


Bonifacio.1M’incresce che vogliate, messer Claudio,
Così partirvi; non perchè mi manchino
Altri scolari a ch’io possi la camera
Mia2 locar, che n’ho molti che la3 vogliono;


  1. Giova ricordare che le lezioni da noi riposte, senz’altra avvertenza, nel testo, sono quelle del manoscritto autografo di messer Lodovico. Le riportate in nota, a guisa di varianti, e precedute dalle lettere G. A., sono le dedotte dall’esemplare corretto dal Barotti sopra un apografo (e sulla fine autografo) di Gabriele Ariosto, Le eccezioni da noi fatte alla regola impostaci, spiegherà via via il contesto delle medesime annotazioni.
  2. G. A.: «possa le camere Mie»
  3. G. A.: «le.»