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atto quinto. — sc. v. 421

L’ha veramente. Non sapete, misero,
Dunque che siam scoperti, e che quel giovine
È della cassa uscito?
Astrologo.                                    Uscito? diavolo!
Egli ne è uscito?
Nibbio.                            N’è uscito, e da Cintio
Tutto lo inganno ha sentito per ordine,
Che voi gli volevate usar. Levatevi,
Levatevi, per dio! Non è da perdere
Tempo.
Astrologo.            Io vorrei pur la mia vesta.
Nibbio.                                                          Toltala,
Padron, non credo abbia colui per renderla:
A chi l’avete voi data?
Astrologo.                                      A quel giovane
Che con Cintio suol ir: come si nomina?
Nibbio.L’avrete data a Temolo?
Astrologo.                                          Sì, a Temolo;
Appunto a lui l’ho data.
Nibbio.                                          Oh! gli è il medesimo
Ch’oggi mi diè la caccia, e mi fè correre.
Al libro dell’uscita avete a metterla.
Astrologo.Duolmene, e tanto più, quanto mio solito
Era di guadagnare e non di perdere.
Nibbio.Guardatevi, patron, da maggior perdita
Che d’una vesta. Andiam tosto; levatevi
Di qui; fate a mio senno; riduciamoci
Verso il Po: qualche barca troveremovi
Che ci porterà in giù. Mi par che giunghino
Tuttavia i bìrri ed in prigion ci caccino.
Astrologo.Non vogliamo ir prima all’albergo e prendere
Le cose nostre?
Nibbio.                            Andate voi pur subito
Al porto, e ritrovate o grande o piccola
Barchetta, che ci lievi; ed aspettatemi,
Ch’io vo correndo all’albergo, ed arrecovi
Tutte le cose nostre.
Astrologo.                                  Or, va.
Nibbio.                                                Volgetevi
Pur giù per questa strada.
Astrologo.                                            Io vo; ma ascoltami
Non lasciar cosa nostra nella camera


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