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atto quinto. — sc. iii. 415

Camillo.                                 Io l’averò di grazia:
Così con tutto il cor vi prego e supplico
Che me la concediate di buon animo.
Abbondio.Ed io te la prometto.
Camillo.                                   Io per legittima
Sposa l’accetto.
Massimo.                            Dio conduca e prosperi,
Senza averci mai lite, il matrimonio.
Abbondio.Siam d’accordo?
Massimo.                              D’accordo.
Camillo.                                                D’accordissimo.
Abbondio.Deh! se ’l vi piace, fateci un po’ intendere
Dove è stata costei nascosta sedici
Anni o diciotto, e come oggi venutone
Siete, più ch’altro dì, così a notizia?
Massimo.Ero entrato qua dentro per intendere
Più chiaramente questo che narrato ci
Avea Camillo; e contra questa povera
Famiglia ero in tant’ira e tanta collera,
Ch’io li voléa tutti per morti; e vôltomi
A mia figliuola, io le dica le ingiurie
Che si pôn dire a una cattiva femmina,
E con mal viso minacciavo metterla
Al disonor del mondo e al vituperio.
E questa moglie del vicin gittòmmisi
Piangendo a’ piedi, e mi disse: — Abbi, Massimo,
Pietade di costei, che non d’ignobile
Gente, come ti dài forse ad intendere,
Ma di patre e di matre gentiluomini
È nata. — Io ricercando la sua origine,
Intendo che suo patre fu Anastagio
Nomato, il qual venuto d’Alessandria
Avéa abitato alcun tempo in Calabria,
E quivi tolto moglier.
Abbondio.                                     Sête, Massimo,
Prudente; pur vi vô ricordar ch’essere
Inganno potría qui, ch’ella da Cintio
Avendo intesa questa istoria, fingersi
Volesse vostra figliuola.
Massimo.                                        Onde Cintio
Lo può saper? che pur mai non ho minima
Parola, se non or, lasciato uscirmene