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atto quinto. — sc. iii. 413

Per condurla in qua meco, vo in Calabria;
E ritrovo che avendo ella, oltra al termine
Preso, aspettato molto, nè vedendomi
Nè di me avendo nuova, come femmina,
Che, più che ragion, muove il desiderio,
Era ita per trovarmi in Alessandria.
Udendo io questo, in fretta ed a grandissime
Giornate mi condussi in Alessandria;
E quivi ritrovai che con la picciola
Figlia era stata, e che d’uno Anastagio
Avea molto cercato, nè notizia
Alcuna nè alcun’orma1 avendo avutane,
Nè conoscendo ivi persona, postasi
Era in fretta a tornar verso Calabria.
Io ritornai di nuovo; e messi e lettere
Mandai e rimandai, che non han numero;
Non facendo però la causa intendere
Di questo mio cercarne: nè per sedici
Anni ho potuto averne alcun vestigio,
Se non pur ora. Ora, io vi prego, Abbondio,
Pel vostro generoso e cortese animo,
Per la nostra antichissima amicizia,
Che perdoniate a Cintio mio l’ingiuria
Che v’ha fatto gravissima; ed escusilo
L’etade.
Abbondio.               In somma, trovate che Cintio
L’ha tolta per mogliere?
Camillo.                                      Chi ne dubita?
Massimo.Alla temerità non più del giovene
Si debbe attribuir, che all’infallibile
Divina Provvidenzia, che a principio
Così determinò che dovesse essere:
Chè, senza questo mezzo, per conoscere
Non ero mai mia figliuola, che picciola
Di cinque anni perduta avéa; e già sedici
Ne sono che novella di lei intendere
Non ho potuto. Or, dove di più offendermi
Temette Cintio, senza mia licenzia
Togliendo moglie, si truova grandissimo
Piacere avermi fatto; chè nè eleggermi


  1. Per Indizio. Esempio notabile.

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