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atto terzo. — sc. vi, vii. 31


Volpino.     El se n’è ito, ed io vô seguitarlo in ogni modo, perchè non lasci perdere la cassa. Aspettami qui tu in casa del patrone; chè appresso agli altri danni, tu non perdessi questa veste ancora. Bussa presto, ch’io veggio escire il ruffiano: presto, chè non ti veggia meco. Non ti partire di qui fin che non torni.


SCENA VII.

LUCRANO ruffiano, FURBA servo.


Lucrano.     Non fu mai uccellatore più di me fortunato, chè avendo oggi tese le panie a dui magri uccelletti che tutto il dì mi cantavano intorno, a caso una buona e grassa perdice ci è venuta ad invescarsi. Perdice chiamo un certo mercante, perchè mi par che sia più di perdita che di guadagno amico. È costui venuto a comprare una mia femmina, ed ha fatto meco in due parole il mercato; cento saraffi1 gli ho domandati, e cento saraffi ha detto darmi; e perchè non s’ha ritrovato avere alla mano il danajo, m’ha lasciata una sua cassa pegno, che tutta d’ori filati è piena, che più di quindici volte tanto ben credo che vaglia: me l’ha aperta, e poi chiusa e sigillata, e portátosene la chiave, e dettomi ch’io la serbi fin che mi porti il pregio convenuto. Questa è una occasione che suol venire di rado, e s’io sarò sì pazzo che fuggir la lasci, non la incontro mai più. S’io porto questa cassa altrove, io non sarò mai più alla mia vita povero: e così ho deliberato fare; e così la simulazione che facevo oggi di volermi di questa città partire, sarà stato della verità pronostico, perchè mi vô con effetto partire all’alba. Nè si potrà perciò questo mercante da me chiamare ingannato, che, prima che lo ricevessi in casa mia, non gli abbia fatto intendere che era barro, giuntatore, ladro e pien d’ogni vizio: se pur s’è voluto poi di me fidare, se n’abbia il danno. Ma ecco il Furba a tempo. Si parte il legno questa notte, o quando?

Furba.     Non gli selasti col furbito in berta, trucca de bella al mazo della lissa, e cantagli se vol calarsi de Brunoro, c’ho il fior in pugno, e comperar vô il mazo.2




  1. Specie di moneta saracina di Alessandria. — (Tortoli.)
  2. Parole, o versi piuttosto (sbagliata però la misura di quello che sarebbe terzo), creduti di lingua furbesca. Può vedersi al fine di questo atto nella commedia in versi.