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atto quarto. — sc. viii. | 331 |
Menica. Io ’l farò, purchè far sia possibile.
Lena.Va, madre mia, se m’ami, fino agli Angeli.
Menica.Ora?
Lena. Ora sì.
Menica. Lasciami prima mettere
La cena al fuoco.
Lena. No, va pur; chè mettere
Io saprò senza te al fuoco una pentola.
Va. Come sei dritto la chiesa, piegati
Tra l’orto delli Mosti e il monasterio,
E va su al dritto, finche giunga al volgerti
A man sinistra: alla contrada dicono
Mirasol,1 credo. Or va.
Menica. Che voi tu, domine,
Ch’io vada a far?
Lena. Vedi cervello! Informati
Quivi (credo sia il terzo uscio) dove abita
La moglie di Pasquin, che insegna a leggere
Alle fanciulle: Dorotéa si nomina.
Va quivi, e digli:2 — A te, Dorotéa, mandami
La Lena a tôr li ferri suoi da volgere
La seta sopra li rocchetti; — e pregala
Che me li mandi, perchè mi bisognano.
Or va, Menica cara: donar voglioti
Poi tanta tela, che facci una cuffia.
Menica.La carne è nel catin lavata e in ordine;
Non resta se non porla nella pentola.
Lena.Troppo cred’io ch’ella sia ben in ordine;
Dico quella di Flavio: ma in la pentola
Non la porrà prima egli di Licinia,3
Se venticinque fiorin non mi numera.
Conosco io ben l’amor di questi giovani,
Che dura solamente fin che bramano
Aver la cosa amata, e spenderebbeno,
- ↑ I luoghi qui radicati dalla Lena alla Menica serbano tuttavía i medesimi nomi. Mirasole chiamasi la strada ove abitava l’Ariosto. Vedesi tuttavía la casa che fece edificar egli stesso, e vi si legge la seguente iscrizione postavi, come alcuni credono, da Virginio suo figlio, che seguitò ad abitarla dopo la morte del padre, della cui memoria era tenerissimo: Domus hæc Areosta propitios habeat Deos, ut olim Pindarica. — (Barotti e Pezzana.)
- ↑ I più moderni forse emendarono: dille.
- ↑ Nelle edizioni del Giolito e del Bortoli, in vece di questi due versi Dico ec., fu vanamente ripetuto l’antecedente Non resta se non porla ec.