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atto quarto. — sc. ii. 329

SCENA VI.

SBIRRI, TORBIDO, GIMIGNANO,

GIULIANO, FAZIO.


Magagn.Altro in somma non ci è, che quel che soliti
Siamo trovare, e ch’è su l’inventario.
Torbido.Ah ladri, rubaldoni, che imbolatomi
Avete il mio mantello!
Sbirro.                                        Fai grandissimo
Male accusarci a torto e dirci ingiuria.
Torbido.Brutto impiccato, che ti venga il cancaro!
Ch’è questo che tu hai sotto?
Sbirro.                                                  Tolto avevolo
Per le mie spese, e non per imbolartelo.
Torbido.Io ti darò ben spese, se la pertica
Non mi vien meno.
Gimign.                                 Io vô prestarti un’opera.
Giuliano.Non mi vô anch’io tener le mani a cintola.
Torbido.Ve’ lì quel sasso, Gimignano? piglialo,
Spezzali il capo. Tu sei pur da Modena.
Sbirro.Gli ufficial del signor così si trattano?
Torbido.Il signor non tien ladri al suo servizio.
Via, ladri, via, poltroni; via, col diavolo.
Poco più ch’io indugiavo ad avvedermene,
Era fornito: bisognava andarmene
In bel farsetto; e mi venía a proposito
L’aver meco portato questa pertica,
Che in spalla, ad uso d’una picca, avendola,
Sarei paruto Lanzchinech1 o Svizzaro.
Fazio.Resta a misurar altro?
Torbido.                                      Fin all’ultimo
Mattone è misurato, e fin all’ultimo
Legno che ci è, l’ho scritto, e meco portolo:
Poi ne levarò il conto, e farò intendere
Ad ambi, a quanto prezzo possa ascendere.
Giuliano.Quando?
Torbido.                Oggi ancora. Comandi altro, Fazio?
Fazio.Non, ora.
Torbido.              Addio.


  1. Lanzo, o soldato tedesco a piedi. — (Pezzana.)

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