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atto primo. — sc. i. 293

Intende; e perchè li vicin, vedendomi
Entrar, potríano alcun sospetto prendere,
Vuol ch’io v’entri di notte.
Corbolo.                                                È convenevole.
Flavio.Verrà a suo acconcio, e tornarà la giovane,
Come andarvi e tornarne ogni dì è solita.
Ma non me ne son oggi più per muovere
Infino a notte. Questa notte tacita-
mente usciremo.
Corbolo.                            Con che modo volgere
Hai potuto la moglie di Pacifico,
Che ruffiana ti sia della discepola?
Flavio.Disposta l’ho con quel mezzo medesimo
Con che più salde menti si dispongono
A dar le rôcche, le città, gli eserciti
E talor le persone de’ lor prencipi;
Con denari: del qual mezzo il più facile
Non si potrebbe trovare. Ho promessole
Vinticinque fiorini, ed arrecarglieli
Ora meco dovéa, perchè riceverli
Anch’io credéa da Giulio, che promessomi
Li avéa dar jeri, e m’ha tenuto all’ultimo.1
Jersera poi ben tardi mi fe intendere
Che non me li dava egli, ma servirmene
Facéa da un suo, senza pagarglien’ utile
Per quattro mesi; ma dovendo darmeli
Quel suo, voleva il pegno. Il qual sì subito
Non sapend’io trovare, e già avend’ordine
Di venir qui, non ho voluto romperlo,2
E son venuto; ancor ch’io stia con animo
Molto dubbioso, se mi vorrà credere
La Lena; pur mi sforzarò, dicendole
Come ita sia la cosa, che stia tacita
Fino a doman.
Corbolo.                          Se ti crede, fia un’opera
Santa che tu l’inganni. Porca, ch’ardere
La possa il fuoco! Non ha coscïenzia
Di chi si fida in lei la figlia vendere.
Flavio.E che sai tu, che ragione non abbia?3


  1. M’ha tenuto in sospeso fino all’ultimo.
  2. L’ordine, o (come oggi dicesi) il fissato.
  3. Il Barotti, il Pezzana e gli altri: che gran ragion non abbia.

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