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292 | la lena. |
Flavio.Deh, va in malora.
Corbolo. Anzi in buon’ora a stendermi
Nel letto, ed a fornire un soavissimo
Sonno che tu m’hai rotto.
Flavio. Or vien qua ed odimi,
E pon da lato queste sciocche arguzie.
Corbol, che sempre abbia avuta grandissima
Fede in te, te ne sei potuto accorgere
A molti segni; ma maggiore indizio
Ch’io te n’abbia ancor dato, son per dartene
Ora, volendo farti consapevole
D’un mio segreto, di tale importanzia,
Che la roba vorrei, l’onore e l’anima
Perder prima, che udir che fosse pubblico.
E perchè credo aver della tua opera
Bisogno in questo, ti vô far intendere
Che a patto alcun non te ne vô richiedere,
Se prima di tacerlo non mi t’obblighi.
Corbolo.Non accade usar meco questo prologo;
Chè tu sai ben per qualche esperïenzia,
Ch’ove sia di bisogno so star tacito.
Flavio.Or odi. Io so che sai senza ch’io replichi,
Ch’amo Licinia, figliuola di Fazio
Nostro vicino, e che da lei rendutomi
È il cambio; chè più volte testimonio
Alle parole, ai sospiri, alle lacrime
Sei stato, quando abbiamo avuto comodo
Di parlarci, stando ella a quella piccola
Finestra, io nella strada. Nè mancatoci
È mai se non il luogo, a dar rimedio
A i nostri affanni: il quale ella mostratomi
Ha finalmente, chè fare amicizia
M’ha fatto con la moglie di Pacifico,
La Lena; questa che qui a lato ci abita,
Che le ha insegnato da fanciulla a leggere
Ed a cucire; e séguita insegnandole
Far trapunti, ricami e cose simili;
E tutto il dì Licinia, fin che suonino
Ventiquattr’ore, è seco: sì che facile-
mente, e senza ch’alcun possa avvedersene,
La Lena mi potrà pôr con la giovane:
E lo vuol fare, e darci oggi principio