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260 | i suppositi. |
Che non faccia mai altro; e ogni commercio
Schivi, nè pur con quei della sua patria
Egli voglia parlar; nè soffrir debba di1
Mangiar, nè pur di ber, perchè d’un piccolo
Momento non defraudi questo studio.
Penso che vegli tutta notte: è giovene
E delicatamente uso: potrebbesi
O morir o impazzare, o d’altra simile
Disgrazia darsi cagion.
Ferrarese. Riprensibile
È ogni cosa troppo.2 Ecco dove abita
Vostro figliuolo: io busserò, piacendovi.
Filogono.Bussate. Io sento il sangue per letizia,
Che tutto mi si muove.
Ferrarese. Non rispondono.
Filogono.Bussate un’altra volta.
Ferrarese. Credo dormino.
Lizio.Se3 quest’uscio vi avesse dato l’essere,
Con più rispetto non dovreste batterlo.
Lasciate far a me. Venite, apriteci:
Olà, venite, se alcuno è che ci abiti.
SCENA IV.
DALIO, e detti.
Dalio.Che furia è questa? ci volete rompere
Le nostre porte?
Filogono. Per dio, credevamoci
Che voi dormissi, e destar volevamovi.
Erostrato che fa?
Dalio. Non è in casa.
Filogono. Aprici.
Dalio.Se pensier fate d’alloggiar, mutatelo;
Ch’abbiamo un altro forestiero, ch’occupa
- ↑ Zoppica questo verso nelle stampe del Giolito e del Bortoli: Voglia parlar; nè soffrir debba di.
- ↑ Che sia troppo, o troppa. Al nome ogni cosa sogliono spesse volte i buoni scrittori dar l’addiettivo del genere maschile.
- ↑ Nelle antiche stampe, seguíte male a proposito dal Pezzana e da altri moderni, questo e il seguente verso (sconciando ancora taluni rispetto in dispetto) furono messi in bocca di Dalio al principio della scena quarta. Vedasi il luogo corrispondente della Commedia in prosa.