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atto quarto. — sc. ii, iii. 257

Crapino.                                        Guardati,
Vecchia imbriaca, che se piglio un ciottolo,
Io non ti spezzi quel capo di scimia.
Psiteria.Or sia1 in malora: credo tu sia il diavolo
Che mi viene a tentar.
Erostrato.                                    Crapin, non odi tu?
Ritorna a me: che staì così a contendere?
Ahi lasso! ecco che viene in qua Filogono.
Non so che far, nè so in che lato volgermi.
Non voglio già che mi truovi in questo abito;
Nè prima egli a me parli, ch’io ad Erostrato.


SCENA III.

FILOGONO, FERRARESE, LIZIO.


Filogono.Valentuom, siate certo che gli è proprio
Come voi dite, che non è amor simile
A quel del padre. Fu un tempo che credere
Io non avrei potuto che nell’ultima
Mia etade io fossi uscito di Sicilia,
Nè che faccenda, e fusse d’importanzia
Quanto si vuol, m’avesse fatto muovere:
E pur, venuto son, con gran pericolo
E gran fatiche, un viaggio lunghissimo,2
Sol per veder mio figliuolo, e menarmelo
Meco.
Ferrarese.           Mi credo ch’abbiate gravissima-
mente patito, e più che bisognevole
A l’età vostra non era.
Filogono.                                       Credetelo.
Venuto son con certi gentiluomini
Della mia patria, ch’all’Oreto3 avevano
Voto, sino in Ancona: indi portatomi
Ha una barca a Ravenna, la qual simile-
mente di peregrin tornava carica:


  1. Così tutte le più antiche, sino a quella del Barotti. Il Pezzana, e gli altri che il seguirono: va.
  2. Venire una via, un viaggio ec., invece di Venire per uno spazio di via, per la durata di un viaggio ec., è bello scorcio di lingua, non infrequente nei classici, e non registrato (ch’io sappia) dai fraseologi.
  3. Il Molini fu primo a rammodernare: ch’a Loreto.

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