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atto terzo. — sc. vi. | 255 |
Ch’ambi vede in grandissimo pericolo.
Ma voglio andar, c’ho fretta.
Pasifilo. Va, ma in polvere;
Chè ben loro hai concia in capo la cuffia.
ATTO QUARTO.
SCENA I.
EROSTRATO.
Che debb’io fare, ahi lasso? che rimedio,
Che partito, che scusa poss’io prendere,
Per nasconder la fraude che sì prospera,
Sì senza impedimento e senza scrupolo
Sin qui ho condotta? Or si potrà conoscere
S’io son, com’io mi fo nomare. Erostrato
O pur Dulippo; poi che, oltra ogni credere,
Il mio vero patron, il ver Filogono
È sopraggiunto. Cercand’io Pasifilo,
Ed avendomi detto un, che veduto lo
Avea fuor della porta di San Paolo,1
Er’ito per trovarlo ove si carcano
Le navi: ed ecco ch’alla ripa giugnere
Veggo una barca. Lievo gli occhi, e vistovi
Ho su la prora il mio conservo Lizio,
E tutto a un tempo2 il mio padron Filogono,
Che porgéa fuora il capo. In dietro subito
Vengo per avvisarne il vero Erostrato,
Acciò che a sì repentino infortunio
Repentino consiglio potiam prendere.
Ma che si puote in così poco spazio
Investigar? chè, quando anco concessoci,
Più che potiam desiderar, lunghissimo
Fusse, che più far si potrebbe, essendoci