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254 i suppositi.

Che ti potéa vedere e udir benissimo.
O bella prova! accusar quella misera
Fanciulla, ed esser causa che quel povero
Padre di duol si muoja, e che la balia
E quel meschin garzon corra il pericolo
Di lasciarvi la vita, ed altri scandoli
Che seguiranno!
Psiteria.                           Certo fu inconsidera-
tamente; nè la colpa è di Psiteria
In tutto.
Pasifilo.             E di chi dunque?
Psiteria.                                           Abbi pazienzia,
Ch’io ti dirò come le cose passano.
Son molti e molti giorni che avvedutami
Era che questi gioveni s’amavano,
E per mezzo di questa porca balia
Insieme quasi ogni notte giacevano;
E tutta volta me ne stavo tacita:
Ma questa mane cominciò la balia
A garrir meco, o ben tre volte dissemi
Imbriaca, ed io a lei risposi in ultimo:
— Taci, ruffiana; tu non sai che l’opere
Tue sappia? dove a barlume sei solita
Di far venir Dulippo, quando dormono
Gli altri? — ma in verità, non già credendomi
D’essere udita; e volse la disgrazia,
Ch’udita fui dal padrone, il qual subito
Mi chiamò nella stalla, e volse intendere
Il tutto.
Pasifilo.            E come gli hai tu detto.
Psiteria.                                                    Ah misera!
Se mai pensato avessi che Damonio,
Il mio padron, così dovesse averselo
A mal, prima m’avrei lasciata uccidere,
Che dirglielo.
Pasifilo.                       Gran fatto, se dê averselo
A mal!
Psiteria.            M’incresce più di quella povera
Fanciulla, che s’affligge, piange e stracciasi
Li capei, che a veder la potría muovere
A pietà i sassi; non perch’ella dubiti
Di sè, ma del garzone e della balia,