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atto terzo. — sc. iv, v. | 251 |
Ma perchè non la maritai, potendola
Già maritar tre anni? Se ben mettere
Non si potéa sì riccamente, messo la
Avrei almen nobilmente. Indugiato mi
Son d’anno in anno, pur con desiderio
E speranza di farne alcuno orrevole
Parentado: ecco che m’avviene. Ah misero!
A chi volev’io maritarla? a un prencipe?
Ah infelice! ah pien d’ogni disgrazia!
Questo è ben certo quel dolor che supera
Tutti gli altri; che perder roba, perdere
Figliuoli e moglie, tutto è tollerabile:
Sol questo affanno è quello che può uccidere;
E m’ucciderà certo. Già non merita,
O Polinesta, la mia mansuetudine,
Che tu mi renda così duro premio.
SCENA V.
NEVOLA, DAMONIO, PASIFILO.
Nevola.Patrone, abbiam fatto il bisogno, ed eccovi
La chiave.
Damonio. Bene sta: vanne or tu, Nevola,
A ritrovar messer Paolin da Bibula;
Sta presso a San Francesco.
Nevola. Il so.
Damonio. Domandagli
Da parte mia quei sua ferri da mettere
A’ prigionieri ai piedi; e torna subito.
Nevola.Io vo.
Damonio. Ma ascolta: se volesse intendere
A che li voglio adoperar, rispondigli
Che tu nol sai.
Nevola. Così dirò.
Damonio. Odi: guardati,
Che nè a lui dica nè ad altri una minima
Parola, che Dulippo abbiamo in carcere.
Nevola.Gli è difficile in somma, anzi impossibile
Che li danari altrui in man ti venghino,
E ch’all’unghie talor non ti si appicchino.
Io mi maravigliavo ben, com’essere