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atto secondo. — sc. iv. | 245 |
In casa.
Cleandro. Va. Dimmi anco, se mi è lecito
Saperlo, come è il nome tuo?
Dulippo. Mi dicono
Maltivenga.
Cleandro. Nojoso e dispiacevole
Nome hai certo. Sei tu di questa patria?
Dulippo.Messer no: sono d’un Castel che chiamano
Fossuccio, ch’è colà nel territorio
Di Tagliacozzo. Addio.
Cleandro. Addio. Deh misero!
Di chi mi fidav’io? come provvisto mi
Ero d’un messaggiero e d’uno interprete?
Carione.Vogliam, patrone, a posta di Pasifilo,
Oggi morir di fame?
Cleandro. Non mi rompere
Il capo: che impiccati insieme fossivo1
Amendui!
Carione. (Non ha nuove che gli piacciano.)
Cleandro.Hai sì gran fretta di mangiar? Che sazio
Non possi esser tu mai!
Carione. (Sono certissimo
Di non mi saziar mai, fin che al servizio
Suo stia.)
Cleandro. Ma andiamo, in malora.
Carione. (Ma in pessima
Per te, e per quanti avari si ritrovano.)
ATTO TERZO
SCENA I.
DALIO, CRAPINO, EROSTRATO.
Dalio.Giunti che siamo a casa, se di sedici
Ova c’hai nel canestro, una o due coppie
Ritrovo sane, mi pare un miracolo.
Ma con chi perdo io le parole? U’ diavolo
- ↑ Desinenza di più vernacoli italiani, ed anche del romanesco.
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