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atto secondo. — sc. i, ii. 237

Per dua milia ducati, e per tre milia
Di sopraddote, e per quel più che chiedere
Gli saprà a bocca egli stesso: e non dubito
Che me lo nieghi, quando non può nuocere
A lui questo contratto, non essendoci
Scritto il suo nome, ma quel d’uno estraneo.
Dulippo.Pur che succeda!
Erostrato.                              Facciamo il possibile,
E della sorte più tosto dogliamoci,
Che di noi stessi, che per negligenzia
Siamo restati.
Dulippo.                      Orsù, dove lasciato lo
Hai?
Erostrato.        Ad una ostería, perchè tre bestie
Ch’egli ha, non bene in casa capirebbono.
Vô che i cavalli all’ostería si lascino,
E le persone in casa nostra alloggino.
Dulippo.Perchè non l’hai menato teco?
Erostrato.                                                  Parvemi
Meglio avvisarvi prima.
Dulippo.                                        Or torna, e menalo,
E fagli onore, e non guardare a spendere.
Erostrato.Ubbidiròvvi. Eccol, per dio! vedetelo
Che vien in qua.
Dulippo.                         Gli è questo? Or va ed incontralo:
Anch’io lo voglio un po’ squadrar, s’ha l’aria
D’un ser capocchio, come ben debb’essere.


SCENA II.

SENESE, il suo FAMIGLIO, EROSTRATO.


Senese.Chi va pel mondo incorre in gran pericoli.
Famiglio.Gli è ver. Se questa mattína a Garofalo,
Passando il fiume, si fusse pel carico
La nave aperta, tutti affogavamoci;
Chè non abbiam di nôtar molta pratica.
Senese.Di cotesto non dico.
Famiglio.                                 Del terribile
Fango voi dite, che di qua da Padoa
Trovammo, ove più volte ebbi gran dubbio
Che i poveri cavagli rimanessino?