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prologo. | 217 |
Vi voglia dire o farvene spettacolo:
Chè se veder voi vi aspettassi o intendere
Alcuna cosa di virtù, starebbonvi
Più gli occhi bassi e più la bocca immobile,
Che a savie spose allora che si sentono
In pubblico lodar con bello esordio.
E questo mostra ben che non sête anime
Sante; perchè mai non veggiamo ridere
Se non a quelle cose che dilettano.
Ma non sono io sì indiscreto, che al minimo
Uomo di voi pensassi, non che a un popolo,
O dire o mostrar cosa reprensibile.
E bench’io parli con voi di supponere,
Le mia supposizioni però simili
Non sono a quelle antique che Elefantide1
In diversi atti e forme e modi varii
Lasciò dipinto, e che poi rinnovate si
Sono a’ dì nostri in Roma santa, e fattesi
In carte belle, più che oneste, imprimere,2
Acciò che tutto il mondo n’abbia copia:
Nè son simili a quelle che i fantastichi
Sofisti han ritrovate in dïalettica.
Questa supposizion nostra significa
Quel che in volgar si dice porre in cambio.
Io v’ho voluto esplicare il vocabolo,
Per tôrvi il pensar male; e farvi intendere,
Che non vi sête apposti. Or dal supponere
Che qui faremo de’ vecchi e de’ giovani,
La Commedia avrà nome Li Suppositi;
La qual se ascolterete con silenzio,
Vi potrà dar col suo nuovo supponere
Non disonesta materia da ridere.
- ↑ Forse il libro di cose veneree composto da questa cortigiana, fregiato di pitture allusive. — (Molini.)
- ↑ Allude alle figure lascive incise dal Raimondi sui disegni di Giulio Romano, per esser poste a rincontro di certi infami sonetti dell’Aretino. — (Molini.)
ariosto. — Op. min. — 2. | 19 |