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atto primo. — sc. iv. | 11 |
Caridoro. Queste sono le serene e luminose stelle che al lor bello apparire acchetar ponno le tempeste de’ nostri travagliati pensieri.
Eulalia. Con più verità potresti dir di noi, che ’l bene e la salute nostra saresti, quando ci amasti così in effetto, come cercate in parole di dimostrare. Voi sete1 gran promettitori alla presenza nostra. — Dammi la mano, Eulalia; dammi la mano, Corisca: oggi, o diman senza fallo, sarete per noi franche: se no, che siamo...2 — Odili pure: vôlte le spalle vi ridete de’ casi nostri.
Erofilo. Hai torto, Eulalia, a dir così.
Eulalia. Se ben voi sete gentiluomini e ricchi nelle patrie vostre, non devresti però schernire e pigliare di noi giôco: noi semo di buon sangue, ancora che ci abbia la disgrazia nostra così condotte.
Erofilo. Deh!, non fare, Eulalia, con queste lagrime e querele più di quel che sia la mia passione acerba. Io sarò il più ingrato, il più discortese villan del mondo, se per tutto diman...
Eulalia. Deh! mal abbia il mio crederti tanto.
Erofilo. Lassami finire: io non ti posso dire ogni cosa, ma sta sicura che per tutto dimane, alla più lunga, sarai libera da questo impurissimo ruffiano. La cosa è gita più a lunga che non era il tuo bisogno e il creder mio, ma non ho possuto più. Non ti credere, benchè io vada onoratamente vestito, e sia di Crisobolo unico figliuolo, estimato il più ricco mercatante di Metellino, che delle sue facultadi io possa a mio appetito disponere. E quel che io dico di me, dico di questo altro ancora; chè li nostri vecchi non sono meno ricchi che avari; nè più è il desiderio nostro di spendere, che la lor cura di vietarci il modo. Ma or che partito è mio padre per navigare a Negroponte, e non mi terrà gli occhi alle mani sempre, vederai dell’amor che io ti porto chiarissimi effetti, e presto.
Eulalia. Dio ti metta in cuore di farlo. Se mi ami, e la salute mia desideri, fai lo dover tuo; chè più che gli occhi miei e più che ’l côr mio t’ho sempre, da poi che prima ti conobbi, auto caro.