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atto quinto. — sc. i. 199

mente; chè quattro o sei parole ch’umili
Dichi al vecchio, farai ch’avrà di grazia
Di perdonarti e di far pace. Mostragli
Pur che l’abbi in rispetto e in riverenzia;
Ch’altro da te non vuole: ed è per nascere
Da questa pace, che d’ogni pericolo
Libererai Volpino. Ben, Erofilo,
Tocca a te di salvarlo, e far ogni opera
Per la salute sua. Ci resta un debito
Da soddisfar ancora, e d’importanzia
Non minore.
Erofilo.                      Che debito?
Fulcio.                                           Che Lucramo
Fuggir si facci domattina.
Erofilo.                                             Facciasi
Fuggir questa notte anco.
Fulcio.                                             Ci bisognano
Danari a farlo, ch’almen le due giovani
Se gli paghino il prezzo che gli costano,
E guadagni più tosto che stia in perdita;
Ch’ancor poi che si avvegga ch’uccellato lo
Abbiamo, è per star cheto. Vedi mettere
Cinquanta scudi insieme, e fa che s’abbiano
Ora, se puoi. Da Caridoro voglione
Altrettanti. Con cento scudi mandisi
Via immantinente, e non s’oda altro strepito.
Erofilo.Con ogni altro che meco, pur consigliati
Di questo, chè da me un carlino, un picciolo
Non puoi1 aver.
Fulcio.                              Tu saresti ben povero.
Trova chi te li presti.
Erofilo.                                        Io non ho credito
Di sì gran somma.
Fulcio.                                Gli Ebrei te li prestino,
S’altro amico non hai dove ricorrere.
Erofilo.Che pegni ho io a dar loro?
Fulcio.                                                  Almen trovane,
Se non puoi più, fino a trenta; non perdere
Tempo.
Erofilo.               Io non gli ho, nè so donde trovartili.


  1. Ed. Giol.: Non potrai.